«Concorrenza sleale e tossicità le vere minacce per il tessile»

I dati dell’Osservatorio del distretto (f.bar.) Tessile, per il quarto anno consecutivo i risultati sono in crescita. È questo il primo dato di rilievo emerso dall’Osservatorio del distretto tessile di Como, svoltosi ieri pomeriggio nella sede della Camera di Commercio. «La tessitura serica ha archiviato il 2013 con un risultato positivo, pari al +2% in termini di fatturato – ha detto Luigi Zoni, consigliere del gruppo Filiera tessile di Unindustria Como – È un dato in controtendenza rispetto alla media dell’industria di settore non solo nazionale (-0,7%), ma anche europea (-1,2%)». È però stato un altro il tema portante della giornata: la necessità di combattere la concorrenza sleale. Sempre più diffusa, come è stato provato da due indagini sui distretti di Como e Prato. Sono così stati illustrati i risultati dell’iniziativa “Globalizzazione sostenibile 3.0”, nella quale sono stati esaminati 80 capi confezionati acquistati sul mercato e confrontati con 52 campioni tessili forniti dalle aziende del distretto, che sono peraltro risultati conformi a norme volontarie ed obbligatorie. «Risulta elevato – ha dichiarato Zoni– il numero delle non conformità rispetto alla legislazione europea (43,8%). Di queste, il 77,2% è riconducibile ad articoli di Paesi extra Eu e di provenienza non dichiarata». Analoga indagine è stata eseguita a Prato dove sono stati esaminati 44 capi d’abbigliamento “made in China”. «Premesso che, al contrario di quanto si ritiene comunemente, i parametri eco-tossicologici cinesi sono per quasi tutti gli aspetti più restrittivi di quelli europei – ha detto Giovanni Moschini, vicedirettore dell’Unione Industriale pratese – il rigore cinese vale solo per i prodotti importati nel loro mercato interno ma non per l’export. Ben 13 capi su 44 (il 30%) sono risultati sostanzialmente in linea con le norme europee, ma non conformi allo standard cinese e non potrebbero pertanto essere commercializzati in Cina. Ciò evidenzia la necessità di un rapido intervento dell’Unione Europea teso al riequilibrio di questa significativa asimmetria». Un duplice studio che ripropone un concetto cardine. «Le indagini confermano le nostre richieste di effettuare controlli sia sulle merci importate, sia sui prodotti in vendita nel mercato interno», ha detto Francesco Marchi, direttore generale di Euratex (la Confederazione europea delle imprese del settore Tessile/Abbigliamento). Infine, di rilievo anche l’indagine, illustrata da Mauro Rossetti dell’Associazione tessile e salute che ha spiegato come, a livello italiano, il 7-8% delle patologie dermatologiche sia dovuto «a quanto indossiamo e, nel 100% dei casi in cui è stato possibile individuare i vestiti, si trattava di capi di importazione».