Categories: Cronaca

Sentenza ribaltata: assolto il brigadiere Miccoli

In Appello: «Il fatto non sussiste» per tutti capi di imputazione (m.pv.) Assolto perché «il fatto non sussiste». I giudici dell’Appello di Milano hanno ribaltato completamente la sentenza di primo grado a carico del brigadiere della guardia di finanza Michele Miccoli, finito a processo con le accuse di concussione per induzione, falso e calunnia. Vicenda che si svolse nei mesi in cui il militare era aggregato alla sezione di polizia giudiziaria della Procura di Como. Miccoli in primo grado era stato condannato a 3 anni e 4 mesi, più l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Ieri, al termine delle proprie conclusioni, l’accusa aveva invocato 4 anni e 4 mesi, dunque un anno in più di pena. Ma alle 17 è arrivata la sentenza che ha cancellato tutto quanto avvenuto fino a quel momento: assoluzione da tutti i capi di imputazione e deposito delle motivazioni tra 60 giorni. Solo allora si saprà nel dettaglio il perché della sentenza che ha completamente stravolto quella di primo grado. La difesa – per voce dell’avvocato Vincenzo Montano – si era sempre dichiarata fiduciosa sull’Appello, anche dopo la condanna in primo grado: i fatti di ieri le hanno dato ragione. La vicenda parte dalla decisione di Ca’ d’Industria, con l’allora presidente Domenico Pellegrino, di affidare all’esterno il servizio mensa. Da quella presa di posizione, partirono proteste sindacali che si concentrarono nella giornata del 17 marzo 2010, in un incontro pubblico tenuto alla Sala Stemmi del Comune di Como. Una giornata “calda” che ebbe strascichi e che portò a indagini della Procura cittadina affidate all’ufficio dove Miccoli lavorava. Vennero così raccolti verbali di sommarie informazioni non solo dei componenti del Cda di Ca’ d’Industria presenti a quell’incontro – Cesare Guanziroli, Mario Peloia, Romolo Vivarelli, Francesco Antonio Mercuri – che puntavano il dito contro un dipendente, individuato in Davide Scarano (imputandogli frasi pesanti all’indirizzo dei vertici dell’istituto che invitavano a «sparare in testa» e a «far saltare» il presidente Pellegrino), ma vennero sentiti in Procura anche agenti di polizia locale che confermarono il «clima di intimidazione» e i «tentativi di linciaggio» ai danni dei componenti del Cda. Lo stesso Davide Scarano fu convocato al palazzo di giustizia come persona informata sui fatti, salvo poi contestargli – secondo la tesi dell’accusa «in violazione delle garanzie difensive» – la diffamazione ai danni del presidente Pellegrino e l’istigazione a delinquere. Il dipendente fu per questo indagato, processato e poi assolto quando ormai l’orizzonte degli eventi stava mutando. Perché, dopo aver letto le loro presunte dichiarazioni sui giornali, un vigile (Giorgio Riboldi) e un consigliere (Guanziroli) andarono su tutte le furie sostenendo di non aver mai detto quelle parole contro Scarano. Fu così che il fascicolo, in seguito a una denuncia di calunnia da parte di Scarano, arrivò sul tavolo della Procura che aprì una indagine a carico del finanziere Miccoli e dei componenti del Cda che avevano puntato il dito in precedenza contro il dipendente. Accuse di calunnia e, per il brigadiere, anche di falso e concussione. Al solo fine – riteneva l’accusa – di aiutare l’amico Domenico Pellegrino a sviare le indagini sulla vicenda dell’appalto del servizio mensa. I componenti del Cda erano però già stati assolti in primo grado. Non Miccoli, che era invece stato condannato. Ma ieri i giudici di Appello hanno ribaltato tutto dando ragione alla difesa del brigadiere su tutti i capi di imputazione.

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