’Ndrangheta sul Lario A un quinto imputato concesso lo sconto a 30 anni di pena (m.pv.) Quattro condanne all’ergastolo confermate anche in secondo grado, accogliendo le richieste del pm milanese Cecilia Vassena. Uno “sconto” dalla pena massima a 30 anni per l’ultimo imputato. È questa la decisione dei giudici della prima Corte d’Assise d’Appello di Milano in merito all’omicidio del maneggio di Bregnano, che si inserisce in un quadro più ampio di delitti maturati in seno ad una faida tra famiglie di ’ndrangheta presenti in Lombardia e in Brianza. Dei quattro omicidi per cui ieri i giudici dovevano pronunciarsi, uno era avvenuto il 27 aprile 2009 all’interno di un maneggio di Bregnano gestito da Salvatore Di Noto, uno dei quattro colpiti dall’ergastolo. Quel giorno è stato raccontato da più “pentiti”. Il primo fu Antonino Belnome, che fu a capo della locale di Giussano (ma residente in provincia di Como), che ha fatto luce con le sue dichiarazioni sulle cosche del Nord Italia. Il secondo – per quanto riguarda Bregnano – è stato Maurizio Napoli, autore di un memoriale in cui ha raccontato per filo e per segno quello che accadde prima e dopo l’omicidio. Uno scritto che potrebbe essergli valso lo “sconto” della pena dall’ergastolo preso in primo grado ai 30 anni di ieri. Cinque le persone accusate dell’omicidio di Antonio Tedesco, australiano di 46 anni, che aspirava ad entrare tra le famiglie delle locali presenti in Lombardia. “L’americano” aveva però il vizio di parlare troppo, ed era pure più vicino ad una fazione piuttosto che ad un’altra. Così, il 27 aprile 2009, i cinque lo attesero in «circolo formato», simulando la cerimonia del ”rimpiazzo”. Ovvero l’affiliazione alla ’ndrangheta (secondo Napoli, nel capannone del maneggio erano in realtà in quattro, perché lui era rimasto fuori). “Rimpiazzo” che non ci fu affatto, in quanto da dietro spararono un colpo di pistola alla testa, per finire il lavoro a colpi di piccone. Antonio Tedesco pagò così con la vita un doppio sgarro. Il primo: essere vicino, come detto, alla parte “sbagliata” all’interno della guerra tra famiglie che si stava svolgendo in Lombardia e soprattutto in Brianza. Il secondo, forse il principale per importanza, l’essersi vantato di avventure amorose con la sorella di un boss: «Parlava troppo sulle donne e in Calabria avevano sentito che si vantava di essere stato con una ragazza e con un’altra, e ha nominato anche mia sorella». Motivi più che validi per un barbaro omicidio. Dei cinque ergastoli, come detto, Napoli ha ottenuto i 30 anni, mentre la massima pena è stata confermata per Di Noto, ma anche per gli altri presenti: Agostino Luigi Caristo, Sergio Sestito e Antonio Carnovale. La sentenza di ieri riguardava però altri tre omicidi di ’ndrangheta, per cui sono state lette ben 13 condanne all’ergastolo, più due condanne a 30 anni di reclusione (erano pene a vita in primo grado), una a 24 e una a 19 anni.
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