Da 58 anni vede grazie a don Gnocchi

Personaggi. A Cantù è stato presentato il volume autobiografico di Silvio Colagrande “Lembi di cielo” L’immenso dono d’amore del santo alpino Da 58 anni, senza problemi oftalmici, vede il mondo grazie a un immenso quanto pionieristico gesto d’amore: la cornea che gli regalò don Carlo Gnocchi. «La scienza sentenzia che questo genere di trapianti non regge di solito oltre i dieci anni», dice sorridendo. «E pensare – continua – che il professor Cesare Galeazzi me l’ha attaccata a mano, con un semplice filo di seta. Ha tenuto fino ad oggi». Una serata piena di gratitudine, orgoglio e naturalmente anche di commozione, quella di venerdì nel salone “Zampese” della Cassa Rurale e Artigiana di Cantù, per la presentazione del volume “Lembi di cielo” che racconta in prima persona la storia di Silvio Colagrande. Miracolato a 12 anni dopo che uno schizzo di calce l’aveva reso cieco, grazie all’intervento del futuro beato. Che da sempre gli alpini considerano “santo” di fatto prima ancora che di diritto. Il libro è stato infatti “adottato” dalla sezione Ana di Como, che prossimamente lo presenterà anche al Teatro Sociale di Canzo. Colagrande, classe 1944, ha consacrato la sua vita al culto di don Carlo nel segno del “fare”: dal 1998 è direttore del Centro di riabilitazione “Santa Maria alla Rotonda” di Inverigo. Ossia uno dei centri di quella stessa Fondazione che nel segno di don Carlo lo accolse bambino, dopo l’incidente. «Sei la reliquia vivente di don Gnocchi», gli ha detto pubblicamente, ripetendo una definizione che lo accompagna fin dal ’56, il presidente degli Alpini di Como Enrico Gaffuri. Un gesto d’amore, si diceva, e all’epoca non solo pionieristico ma illegale: un gesto di disobbedienza “civile” diremmo oggi. Il religioso fu infatti il primo donatore d’organi d’Italia, in assenza di una legge specifica sull’argomento. E Colagrande è oggi, a oltre mezzo secolo di distanza, il custode di questa memoria letteralmente incarnata. Una pagina di storia di cui l’Italia deve andare fiera, e il cui testimone è raccolto costantemente anche dall’Aido (ieri era la giornata nazionale del sodalizio che conta 1 milione e 300mila aderenti). Da segnalare nell’incontro del salone “Zampese” i canti del coro “I Sempreverdi” degli Alpini di Cantù, diretto da Paolo Maspero. Il gruppo brianzolo sta lavorando sodo con la sezione di Cantù del Club Alpino Italiano per valorizzare il bivacco “Città di Cantù” in località Giogo Alto, selvaggia sella glaciale fra il Monte Zebrù e l’Ortles a quota 3.535 metri. Gli è dedicata in questi giorni al “Cortile delle Ortensie” di via Matteotti 33 una mostra. Sono in scena i 29 progetti sviluppati per il “Concorso di idee”, realizzato in collaborazione con la Fondazione dell’Ordine degli Ingegneri di Como, per la sistemazione del bivacco che, a causa degli avversi mutamenti climatici degli ultimi decenni, necessita di cure eccezionali.