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Pupi Avati mattatore difende la famiglia

Personaggi Con la sua disarmante sincerità ha stupito e incantato un folto pubblico venerdì sera al Cinema Astra di Como Così radicato alla cultura contadina da sembrare quasi un rivoluzionario. Intervenuto venerdì scorso a un incontro sulla famiglia, Pupi Avati ha infatti stupito e incantato il pubblico che ha riempito numeroso il Cinema Astra di Como. «Ho appena festeggiato le nozze d’oro con mia moglie e mi piacerebbe tanto poterla risposare. L’ho conosciuta nei primi anni ’60 quando era giovane e bellissima – ha detto il regista – L’ho conquistata dopo un lungo corteggiamento, lei non mi voleva. Poi una notte di febbraio l’ho accompagnata a casa in 500 e ho supplicato un suo bacio perché nessuno quel giorno si era ricordato del mio compleanno. Naturalmente io sono nato il 3 novembre, ma dopo 8 mesi siamo convolati a nozze». La platea ride, applaude, e il grande regista prosegue il racconto dei suoi ricordi: «Allora l’ho voluta sposare perché era una delle tre donne più affascinanti di Bologna, ma non la conoscevo. Io mio chiamo Pupi, lei Nicola e avevamo un cane di nome Filippo. Già da questo si capiva che eravamo una famiglia un po’ strana. Ci siamo separati anche 8 mesi, ma poi il buon senso ha prevalso perché non volevo privare i miei figli della loro figura paterna». «Sono tornato, Nicola mi ha ripreso in casa e siamo arrivati fin qui – prosegue Avati – Ora io la conosco, lei conosce me, sa tutto di me. È una grandissima rompiscatole; a volte è persino imbarazzante, non mi perdona nulla, se la prende con me anche quando il treno Roma-Milano a Firenze cambia binario e gira su se stesso. Ma è il mio hard disk, io senza di lei non esisto, mi è necessaria e indispensabile perché mi ha regalato la sua vita e la sua bellezza». «Il matrimonio non è come un ristorante, dove se un primo piatto non è buono ci si alza in piedi e si va via. Il matrimonio – ha insistito Pupi Avati – è fatica, si sta insieme anche nella consapevolezza dei propri limiti ed errori, superando le nostre debolezze». Il pubblico è colpito, è commosso dalla disarmante sincerità di Avati. Ma il celebre regista, che in molti dei suoi film ha meravigliosamente raccontato la giovinezza, riesce a incantare anche quando affronta i temi della vecchiaia e della morte: «Io sono cresciuto in una famiglia contadina che non aveva paura della morte. Andavo spesso con mia zia in cima alla collina dove c’era il cimitero perché voleva scegliere con calma la sua destinazione finale. Si era persino fatta fare una enorme foto sotto la quale lei stessa aveva scritto il suo epitaffio: “Non ti dimenticheremo mai”. Si cresceva così, con la morte che ti passava accanto come una naturale conseguenza della nostra condizione umana». «Nella mia casa romana ho una “stanza degli angeli” dove ho appeso tutte le foto dei miei amici scomparsi, non li voglio dimenticare», ha aggiunto. Eppure, ancora oggi, a 75 anni, Pupi Avati riesce a guardare al futuro con un sorriso: «La vecchiaia riporta alla sensibilità dell’adolescenza, al bisogno di sentirsi protetti. Io ha passato una vita a raccontare nei miei film i più deboli, gli sconfitti, i vulnerabili. Ma ancora oggi sono convinto che la mia prossima pellicola mi ripagherà dei torti subiti, mi piace vivere sempre nella fiducia del domani. Sapete cosa ha fatto scrivere Sinatra sulla sua tomba? “Il meglio deve ancora venire”. Non mi hanno mai chiamato a Hollywood, ma ormai il discorso che ho preparato per l’Oscar è perfetto». E la gente lo applaude come se Avati stesse davvero alzando al cielo la statuetta stretta in un pugno. Maurizio Pratelli

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