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In un libro la mitica Scuola di Disegno

L’istituzione di Rovenna Mario Minatta, presidente dell’associazione “Carlo Mira”: «Formò almeno 2.500 ragazzi» Intorno a quegli umili banchi si sono esercitati migliaia di futuri disegnatori. In povere aule si sono alternati docenti di chiara fama, professionisti affermati, artisti geniali. Il suo merito è aver procurato lavoro sicuro a tanti ragazzi di paese, che in molti casi si sono poi affermati. Rovenna, frazione montana di Cernobbio, si appresta a celebrare sia la gloriosa Scuola di Disegno, nata all’inizio del secolo scorso e rimasta in auge per ottant’anni, sia il trentesimo del Centro artistico culturale “Carlo Mira”, l’associazione che ne porta il nome e ne è l’ideale prosecuzione. Lo fa con un libro (“Un trentennale lungo oltre un secolo”) e con una mostra al centro civico di via IV Novembre, da sabato 10 a domenica 18 maggio. Mario Minatta, presidente dell’associazione e tra gli artefici della duplice iniziativa, racconta la cavalcata della benemerita istituzione, nota alle famiglie di tutto il circondario. Come si è appassionato a questa missione? «In modo del tutto casuale. Sapevo che la maggior parte degli abitanti di Rovenna aveva frequentato la scuola, nata per insegnare disegno geometrico e ornato e in seguito estesa, da metà degli anni ’60, a pittura e ceramica. Il maestro Gianni Betta mi ha convinto a impegnarmi in questa impresa. Dubbioso e riluttante, alla fine ho accettato. Ho chiesto e trovato collaborazione e un clima favorevole. Strada facendo ho trovato tracce anche della mia famiglia. Ho scoperto che il mio nonno paterno ebbe un ruolo, fece la sua parte?». Come nacque la scuola? «Nacque all’inizio del ’900 come società di mutuo soccorso tra operai, per lo più dediti all’arte muraria. Rovenna, all’epoca, era Comune autonomo da Cernobbio. Le aule erano ubicate nella scuola elementare, dove esistevano soltanto le prime tre classi. Gli orari delle lezioni erano fissati dalle 12 alle 14 di domenica e dalle 18.30 alle 20.30 di due giorni feriali. Si tenevano d’inverno, quando i muratori non potevano lavorare? Ci si iscriveva versando una semplice cauzione, che veniva restituita a fine corso. In seguito fu fissata una vera quota da pagare. Gli insegnanti avevano titoli di studio, o eccellevano per la loro bravura. Tra questi c’era il grande Eli Riva, che a nove anni aveva già fatto lo schizzo della chiesa di Rovenna e a tredici aveva finito la scuola?». L’istituto era intitolato a Carlo Mira: chi era? «Un personaggio chiave: un notaio milanese, con residenza a Cernobbio, appassionato d’arte e di cultura. Prese a cuore la scuola di Rovenna e ne divenne il cuore pulsante. Fu anche amministratore pubblico comunale, sempre sostenuto da forte consenso. Carlo Mira era innamorato dei nostri luoghi; ne definì “laboriosa” la gente. Era un uomo mite e sapiente. Istituì premi per gli alunni pagando di tasca propria, per gratificarli riguardo ai lavori che eseguivano». Qual era lo specifico della scuola? «Dare un’istruzione ai ragazzi per avviarli al lavoro con cognizioni adeguate. Frequentare la scuola di disegno era un fatto molto sentito e in tanti, sostenuti dalle famiglie, lo facevano volentieri. Dopo il quinquennio di preparazione, il diploma conseguito apriva le porte dell’attività professionale. Quando per gli studenti veniva il momento di esporre i loro disegni, titolari e dirigenti d’azienda di tutto il circondario andavano a visionare i lavori per scegliere i migliori diplomati». Qual è stato nel tempo il pregio maggiore della scuola? «Quanto ho appena detto: preparare i ragazzi al mondo del lavoro». Oggi esiste il Centro artistico culturale “Carlo Mira”. Cosa fa? «Dobbiamo fare un passo indietro. La scuola chiuse i battenti nel 1981 a causa del nuovo ordinamento scolastico che esigeva l’abilitazione all’insegnamento. Gli appassionati di pittura rimasero spiazzati. Alcuni di loro, capitanati da Silvana Pellizzoni Girola, si ritrovarono a dipingere a Cernobbio nel garage di Carluccio Guggiari e diedero vita al Centro artistico. Ogni tanto ricevevano la visita del maestro Athos Della Torre, già docente della scuola “Carlo Mira”, e che voleva vedere cosa facevano “i forzati della pittura”, come li chiamava lui». Tra i soci dell’associazione c’è qualcuno dei tempi in cui era ancora attiva la scuola? «Certamente. In funzione del libro abbiamo realizzato interviste all’ex direttore e a vari insegnanti. In tutti c’è l’orgoglio dell’appartenenza e di aver trasmesso nozioni importanti. Carlo Mira morì nel 1954, gli subentrò come presidente di quell’istituzione il nipote, Giuseppe Mira, anch’egli residente a Cernobbio e docente universitario, titolare di due cattedre, a Roma e a Perugia. Abbiamo rintracciato chi lo conobbe e lo descrive, come già suo zio, una sorta di mecenate». A proposito del libro preparato dall’associazione culturale, cosa possiamo anticipare? «Il nostro intento era evitare che si disperdesse un prezioso patrimonio. Scrivere è importante perché la memoria storica, dopo una generazione, si perde. È invece giusto e doveroso ricordare il nostro passato e la scuola di disegno, a pieno titolo, ne è parte. Ha occupato, mediamente, dai 35 ai 40 ragazzi all’anno. In tutto, grosso modo, 2.500 allievi?». Cosa emerge in modo più netto dalle vostre ricerche per il libro? «Di tutto e di più? Abbiamo scoperto che ci furono anche docenti dell’Accademia di Brera. Abbiamo ricostruito un caso emblematico: la spiegazione del motivo per cui, a Rovenna, fino al 1985 non ci fu un monumento ai Caduti? C’è una ragione precisa, che non svelo. Si scoprirà nelle pagine del libro». Marco Guggiari

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