Verso il centenario della nascita L’avvocato Cesare Piovan rievoca l’amico educatore nonché archeologo «Como gli deve essere grata. Paolo Maggi merita la dedicazione di una via nella zona della Ca’ Morta dove, grazie a lui, fu scoperta la necropoli preromana. Una lapide semplicissima che dovrebbe ricordarlo con nome, cognome e con l’aggiunta: “Educatore – Archeologo”». Sono parole di Cesare Piovan, prima alunno, poi seguace nella ricerca di tracce dell’antica città e grande amico del docente comasco. L’insigne grecista e latinista scomparve sette anni fa; il prossimo 26 maggio si celebra il centenario della sua nascita. L’occasione è buona per rievocare una fulgida figura rimasta nelle menti e nei cuori di tanti. Piovan, classe 1933, avvocato del Foro di Como è certamente tra coloro che conobbero meglio e più a lungo Paolo Maggi. Diplomato al liceo classico “Alessandro Volta”, è laureato all’Università Cattolica di Milano. Avvocato, quando e come conobbe Paolo Maggi? «Nel 1950, quando ero studente al liceo. Il professor Mario Margheritis, docente di greco, fu temporaneamente incaricato come preside e al suo posto arrivò Maggi. Fui suo alunno per un anno, ma bastò per conoscerlo. Ricordo che aveva l’abitudine di tutelare, per così dire, le virtù delle ragazze che erano al piano superiore rispetto a noi, studenti maschi. Si poneva tra un piano e l’altro come baluardo a difesa della differenza di sesso?». Qual era la sua caratteristica più spiccata? «La serietà e l’onestà in tutto. Paolo Maggi era uomo assolutamente integro, nel modo di esercitare la sua funzione educativa e di giudicare gli allievi, anche nelle loro carenze. E a corsi di studio ultimati, si ricordava di ciascuno di loro e seguiva ognuno anche nella vita e nella carriera. Aveva un assoluto senso della giustizia». Quali erano le sue virtù? «Ho avuto l’onore di celebrarlo due volte: una, lui vivente, al liceo classico; l’altra, commemorandolo assieme ad altri, in occasione dello scoprimento di una targa in suo ricordo nel corridoio del “Volta”. Avendo cognizione che le massime virtù umane sono saggezza, misura, lealtà, schiettezza, umanità, impegno, fermezza, umiltà, riservatezza, rettitudine, giustizia, nella seconda di quelle occasioni conclusi che chi rappresentava tutte queste virtù era proprio lui, Paolo Maggi». Era anche un uomo di fede. Quale tipo di fede? «Una fede cristiana profonda. Dalla frequenza alla messa tutte le mattine, al vivere la sua giornata in modo assolutamente onesto. Aveva una coerenza che derivava dalla sua profonda religiosità. Ma non la esibiva mai. La si intuiva e si coglieva la sua coerenza interiore». Qual è l’insegnamento più bello che le ha lasciato? «Le racconto un aneddoto. Il professor Maggi amava mettere in cattedra due o tre studenti affinché declamassero e commentassero una tragedia. A me toccò l’Antigone di Sofocle. Lui ne fu soddisfatto e mi disse: “Tu dovresti fare l’avvocato”. Cosa che poi avvenne… Ecco, sapeva cogliere la potenziali inclinazioni dei suoi studenti». Com’era il docente? «Dava voti strani, anche sei meno meno meno? Ma, alla fine, il suo era un giudizio globale che non trascurava mai se uno studente aveva qualche chance. Non si limitava alla tecnica del voto, ma seguiva l’allievo nella sua personalità umana e nel suo divenire». Com’era invece lo studioso? «Scrupolosissimo. Io sono convinto che preparasse sempre ogni lezione, con gli aggiornamenti del caso. Paolo Maggi era una specie di archivio vivente. Traduceva ciò che studiava in motivo di cognizione per gli altri». Da ultimo, ma non per importanza, c’era l’archeologo? «Sì. Diversi anni dopo quell’esperienza da studente, con lui professore, lo incontrai a Como in via Giovio. Ci salutammo, lui si ricordava benissimo di me, come di tutti i suoi ex alunni. Al momento di congedarci disse: “Domani dobbiamo scavare una tomba alla Ca’ Morta. Perché non vieni?”. Andai pieno di curiosità. Vidi diversi oggetti e rimasi folgorato dal valore storico e umano di queste avventure. Da allora non mancai mai». Tanto che anche lei entrò a pieno titolo a far parte della Società Archeologica Comense? «Fu Maggi, nel tempo, a inserirmi nel consiglio. E io gli succedetti come presidente nel 1983 per diciotto anni, avendolo sempre come consigliere, suggeritore, amico e, soprattutto, come fonte inesauribile di notizie storiche e letterarie che completavano il quadro delle scoperte archeologiche». Fu proprio il professor Maggi a riscoprire la Ca’ Morta? «Sì. Avvenne dal treno a bordo del quale viaggiava, tornando da Milano. Scorse una serie di pietroni smossi. Fece un sopralluogo, vide reperti interessanti e divenne il massimo frequentatore dell’area, con baschetto blu sul capo, munito di zainetto con una piccola zappa e una minuscola vanga». Paolo Maggi era tutt’uno con la sua vocazione di docente e di insigne latinista. Cosa “passava” di questo ai suoi amici? «Il modo razionale di costruire il pensiero fin da quando eravamo suoi allievi». Che idea aveva di Como e dei comaschi? «Si tenne sempre estraneo alla politica, ma era legato alla sua città. Avendo educato generazioni di studenti, aveva anche dato un’impronta a tanti futuri cittadini. Tuttavia, non lo sentii mai dare giudizi su Como, sui comaschi, sulla politica. Erano parametri che teneva per sé». Credeva molto nei giovani? «Sì, il suo modo di insegnare era finalizzato a dare tutto quanto fosse possibile sotto i profili culturale ed educativo affinché crescessero correttamente. Era sempre disponibile, anche con chi era diventato adulto, a dare consigli, suggerimenti, conforto per gli studi che avrebbe intrapreso in seguito. Paolo Maggi aveva la capacità di essere amico dei giovani nel suo modo di conversare con loro e di consigliarli». Si potrebbe dire che fosse una persona sola perché non aveva moglie né figli? «No. Aveva un’interiorità così ricca che gli impediva di sentirsi solo. La sua grande cultura era per lui un nutrimento. Anche quando perse la madre e poi la sorella, visse da solo nella serenità dei forti». Quale eredità ha lasciato? «La misura, l’onestà e la correttezza in tutto». Marco Guggiari
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