La città da cambiare Dalla stazione San Giovanni al centro storico, tra incuria e degrado L’infopoint dello scalo ferroviario chiude incredibilmente nei weekend Il prossimo anno sarà più facile sciare nel deserto del Sahara o fare il turista a Como? Fatta così, la domanda potrebbe sembrare non solo provocatoria, ma persino surreale. Eppure, la realtà che si presenta oggi agli occhi di un turista è a dir poco inquietante, addirittura drammatica se proiettata all’estate di Expo 2015. Partendo dalla Stazione San Giovanni, abbiamo provato a metterci nei panni di una comitiva giunta a Como per una visita turistica. Appena scesi dal treno, inizia infatti un vero e proprio calvario, che racconta impietosamente una città totalmente impreparata al grande evento espositivo e, più in generale, anche tragicamente inadeguata a sostenere il suo ruolo di città turistica. E così, valigie in spalla o trascinate a fatica, si scendono e risalgono le scale del sottopassaggio ferroviario. Nessun ausilio per evitare tecniche di trasporto d’altri tempi, che ricordano più i sudori di un emigrante che quelli di un moderno turista. Il sottopassaggio è peraltro vergognosamente inaccessibile ai portatori di handicap. Con qualche fatica e dotato di un ingresso decisamente anonimo, ecco venire in nostro soccorso l’ufficio turistico predisposto dal Comune in stazione. Avendo una certa fortuna – non essendo sabato, domenica o lunedì, giorni di massima affluenza in cui l’infopoint è inspiegabilmente chiuso – ci accoglie una signora preparatissima. La dottoressa Carmela Miceli si è laureata con un tesi sulla “gestione delle informazioni negli uffici turistici”, sa quattro lingue, ha fatto nove corsi di specializzazione e guadagna quanto un usciere. Un usciere del Comune, naturalmente, e non della Camera o del Senato. Carmela sa bene quanti e quali siano i disservizi, ma il suo compito non è quello di lamentarsi, lei prova con mestiere a soddisfare le esigenze dei turisti che ogni giorno, anche durante la settimana, arrivano a Como da tutto il mondo. Il wi-fi non esiste, e anche se esistesse le informazioni che giungono da Internet sono insufficienti, mentre il bike sharing è praticamente inaccessibile, a causa della sua burocrazia, per chi decidesse di fermarsi in città un solo giorno. Non resta che prendere un autobus, sperando che i gestori cinesi del bar, che non masticano troppo l’italiano, ma nemmeno l’inglese, riescano a capire la destinazione e a vendere al malcapitato il biglietto giusto per la sua meta. Per non sbagliare, noi preferiamo proseguire a piedi, tanto il centro è a due passi. I cartelli nel piazzale della stazione, quelli che ad esempio indicano i monumenti più importanti, sono in un stato fatiscente: sporchi, illeggibili, consumati dal tempo. Nonostante tutto, e senza altre indicazioni, proseguendo sempre diritto da viale Tokamachi arriviamo fino al cuore della città, nella splendida piazza Volta per poi proseguire fino al Lungolago. Prima ancora di scorgere i turisti chiusi nella “gabbia” di una passeggiata provvisoria, non possiamo fare a meno di scorgere la mestizia di un cartello abbattuto che racconta, come può, la “Via della seta” e lo stato in cui si trovano le fontane all’angolo di via Cairoli e quelle poste ai bordi di piazza Cavour. Tutte abbandonate in balìa del degrado e della sporcizia. Passeggiare ammirando il Lago di Como è praticamente impossibile, l’eterno cantiere delle paratie resta un muro invalicabile per chiunque, una fotografia inesorabile di provvisorietà, un ostacolo capace di disorientare anche i turisti più audaci. Nel piazzale della Funicolare che porta a Brunate – almeno dall’alto tutto questo scompare – non mancano cartelli posti in direzione sbagliata, angoli di città abbandonati all’incuria, senza contare che a breve, in estate, in piena stagione turistica, questo servizio verrà sospeso per lavori di manutenzione. Tutto insomma indica perfettamente una sola cosa: a Como non si è ancora capito che il turismo è una delle poche risorse che ci resta, non sostenerlo adeguatamente equivale a un suicidio. La scritta “Como viva”, posta sulla targa di un altro infopoint della città, quello di via Magistri Comacini, fa quasi sorridere e sa di beffa. Anche perchè l’ufficio è inesorabilmente chiuso, qui si apre solo nel weekend. Non ci perdiamo d’animo e, saltellando tra un cantiere e l’altro, arriviamo fino al Monumento dei Caduti, altro regno di nessuno, e raggiungiamo il parco di Villa Olmo, una delle mete più ambite della città. Ed è qui, nell’incanto di un luogo che prima la natura e poi l’uomo hanno contribuito a rendere unico, che ci viene raccontato un episodio che ha del paradossale. Perché se un turista, per quanto non avvedutissimo, visto che non ha controllato le date, chiede in questi giorni come mai non c’è la mostra di Brueghel, vuol dire che anche sul fronte dell’informazione non tutto funziona. Non sarà un sito dimenticato in Rete a cambiare le cose, ma dire che siamo pronti per Expo 2015 è di certo un’eresia. Il vero dramma è che non siamo pronti nemmeno per Miniartextil. La bella mostra che si svolge in questi giorni a Villa Olmo non può contare su segnalazioni all’esterno dell’edificio Settecentesco e passa così del tutto inosservata. E mentre il ponte del “Chilometro della conoscenza” rimane sospeso nel nulla, Como rischia di essere attraversata da Expo senza aver nulla da esporre. Maurizio Pratelli
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