Categories: Lario Ad Arte

Gin Angri

L’AUTORE Gin Angri, viaggi fotografici nella memoria Nato nel 1949, Gin Angri (nella foto, click per ingrandire) dal 1982, per dieci anni, ha lavorato in Mozambico, prima come responsabile del “Centro di Formazione Fotografica”, e in seguito all’Istituto di Comunicazione Sociale di Maputo. Ha realizzato anche reportages nell’ex Jugoslavia, e in Somalia. Ha pubblicato con Nodo Como, guida alla storia, all’arte ed all’attualità (1979) ed Ex Carcere di San Donnino di Como (2011). Ha pubblicato nel 2008 anche Le Stagioni del San Martino, che raccoglie dieci anni di lavoro fotografico, prima e dopo la chiusura dell’ospedale psichiatrico di Como. Dal 2010 Angri dirige il periodico “Oltre il Giardino”, la cui redazione è costituita da utenti del centro diurno malattie mentali di Como. Informazioni sul sito Internet: L’OPERA Le due facce dei comaschi tra il sogno e la realtà Lorenzo Morandotti Giano bifronte. Se la memoria «è una delle funzioni storiche della fotografia» come ama ripetere Gin Angri, il piacere e il dovere del ricordo si raddoppiano nello sguardo che propone per la nostra galleria multimediale “Lario ad Arte”: l’abbinamento di un’immagine della ex tintostamperia Ticosa di viale Roosevelt, sventrata poco prima della demolizione nel 2007, e uno scatto notturno della Casa del Fascio utilizzata come megaschermo per proiezioni artistiche. Un collage che racconta più di tanti fiumi di parole fin qui spesi sulle magnifiche sorti e progressive della città di Como la sua doppia anima, sospesa tra modernità e declino, tradizione e rivoluzione: da un lato la voglia di sognare, costruire, lasciare il segno, dire qualcosa di nuovo e dall’altro il muro di gomma, l’impossibilità di farlo, per i motivi più vari: freni a mano tirati che si chiamano ignavia, lassismo, burocrazia, mancanza di energie, scarsa propensione al gioco di squadra. Due foto che sono due mondi, o meglio due facce dello stesso mondo, due personaggi dello stesso racconto che si chiama Como. «Potrei dire che il mio è lo sguardo di un artigiano, non di un artista – commenta Angri – Attento agli sviluppi e ai cambiamenti della città. Ma ovunque io vada, e lo si vede anche in queste immagini, è l’umano che mi coinvolge in ogni situazione. Dalle mie fotografie è sempre il vissuto che viene fuori, e cerco di farlo emergere anche negli ambienti e nelle situazioni urbane che fotografo. Il paesaggio è pieno di segni, di tracce che raccontano, come succede al volto di una donna o di un uomo». Un occhio, quello di Gin Angri, che si è ispirato all’opera di maestri della fotografia del Novecento come Bresson, Capa e Berengo Gardin. Al maestro comasco si devono molti reportages che documentano e documenteranno per i secoli a venire la memoria di luoghi importanti quanto problematici di Como. Ad esempio il carcere San Donnino che dal 1985, anno della sua chiusura, ha continuato ad esistere come un relitto alla deriva: gli ambienti sono stati abbandonati dai loro abitanti rimanendo cristallizzati nel tempo. Angri con il suo intenso bianco e nero e il gusto per l’inquadratura originale e mai ortodossa li ha riportati in vita documentandone le pareti piene di frasi, foto, calendari, disegni. Pagine di drammi esistenziali che fanno di ogni cella un romanzo. Lo stesso metodo ha messo in pratica per il suo lavoro sull’ex ospedale psichiatrico San Martino di Como. GALLERIA (clicca su una immagine per visitare la Galleria)

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