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Radioamatori, non è una passione da vecchi

Presto una sala in Prefettura Visita alla sezione di Como tra assistenza a gare sportive e interventi nelle emergenze Si distinguono tra loro in base a nominativi rilasciati dal ministero. Interagiscono con il mondo intero e sono arrivati prima di Internet. Parlano di Sudafrica e Capo Verde con la stessa disinvoltura con la quale soltanto oggi i più comunicano da un capo all’altro del globo con Facebook. Sono i radioamatori, razza tutt’altro che in via di estinzione, nonostante i social network. La sezione di Como della loro associazione – l’Ari – è nata il 22 marzo 1948 e conta 87 soci. Tra loro anche Peppo Martinelli (nominativo I2Arn), uno dei fondatori. Negli anni d’oro, il decennio tra i ’70 e gli ’80, erano quasi il doppio. La loro sede attuale è in via Tommaso Grossi, nei locali dell’ex Orfanotrofio messi a disposizione dal Comune. L’immobile, però, sarà posto in vendita e al termine del nostro incontro non manca l’appello per la ricerca di una nuova sede, anch’essa in città e sufficientemente ampia per poter accogliere tutti. La nostra chiacchierata avviene con il presidente Oscar Caprani – nominativo IK2AQZ – 56 anni, al suo secondo mandato, con il tesoriere Carlo Malinverno (IW2NRT) e con Angelo D’Anna, sindaco (I2ADN). Presidente Caprani, com’è nata la sua passione? «Ero un ragazzino, mio fratello, idraulico, eseguì lavori per un negozio che vendeva apparecchi per radioamatori. Io lo aiutavo e rimasi folgorato da quel mondo. Lui si fece pagare con una di quelle radio e me la regalò. La conferma della passione venne utilizzandola». Ognuno ha una storia personale per quanto riguarda la vocazione originaria, come confermano gli altri interlocutori. «Io ero sulla Grignetta – dice Malinverno – A metà strada vidi un uomo steso a terra. Allertare i soccorsi non fu facile e ci volle un po’ di tempo. Il giorno dopo lessi sul giornale che il ferito non ce l’aveva fatta. Forse, se ci fosse stata una radiotrasmittente, le cose sarebbero andata diversamente? Per me fu l’inizio di questa attività». «Io invece feci la scoperta di questi apparecchi alla Fiera di Sinigaglia, a Milano – interviene D’Anna – Era l’immediato dopoguerra e sulle bancarelle c’erano un sacco di residuati bellici. Un venditore mi fece innamorare della radio?». Qual è la differenza tra la vostra attività e quella del “baracchino”, o CB, come si dice in gergo? «Si tratta di attività completamente diverse. CB significa Banda Cittadina. In teoria utilizza 5 watt di potenza e un’antenna verticale e spazia in una superficie limitata. I radioamatori devono conseguire una patente e dispongono di almeno una quindicina di bande». Parliamo della “patente” che dovete conseguire. In cosa consiste? «Un tempo scaturiva da un esame di telegrafia basato sull’alfabeto Morse e da una prova pratica che includeva domande sull’attività del radioamatore, sulla legislazione in materia e sulla radiotecnica. Oggi è una prova scritta con quiz a risposta multipla». A proposito di gergo, il radioamatore è definito OM, acronimo di Old Man, che in inglese significa uomo vecchio. Alla luce delle nuove possibilità offerte da Internet, il vostro è un hobby da vecchi? «Va premesso che OM è un’antica denominazione da non tradurre letteralmente. Detto questo, Internet ha portato via giovani che avrebbero potuto appassionarsi all’attività dei radioamatori». Quando avete avvertito la svolta tra il vostro mondo e quello dei social network? «Il discorso va ribaltato. Noi radioamatori eravamo in grado di inviare messaggi di posta elettronica già negli anni ’80, tramite la radio e i primi computer, a chi era connesso a un nostro “nodo”. Oggi dipende da noi generare nuove vocazioni, facendoci conoscere anche nelle scuole, anche se è difficile farsi aprire le porte?». La vostra attività prevede radioassistenza a manifestazioni sportive. Potete spiegare di cosa si tratta in concreto? «In passato siamo intervenuti in occasione di palio remiero, gare di motonautica, motociclismo, rally automobilistici, paracadutismo? Prendiamo come esempio i rally: nelle prove speciali che si svolgono tra i monti può succedere che i cronometristi non riescano a collegarsi con la direzione della gara. Noi, con i ponti, li aiutiamo. La nostra collaborazione è utile anche per la sicurezza dei piloti, per qualunque evenienza». Cos’è il “Volta International Memorial Day”? «Il 18 febbraio, per noi, è una giornata dedicata ad Alessandro Volta, che ha un apposito nominativo: II2V. La data coincide con la nascita del grande scienziato comasco. Quest’anno siamo giunti alla 16a edizione dell’ iniziativa, nell’ambito della quale raffiguriamo su cartoline luoghi diversi della città e trasmettiamo da punti di Como dove Volta ha lasciato il segno. Allestiamo inoltre in sede una mostra, curata dal socio I2MS Umberto Molteni, con la ricostruzione in fac-simile delle attrezzature che furono utilizzate da Volta per i suoi esperimenti. Cerchiamo infine di collegarci, attraverso i nostri soci del “Volta Dx Team”, con radioamatori di tutto il mondo. Un riconoscimento va a chi raggiunge il punteggio più elevato in virtù dei collegamenti fatti». Vi capita di intervenire anche in caso di vere e proprie emergenze? «Sì, disponiamo di un settore di emergenza, l’Arire, che destina i radioamatori disponibili nelle località dove sono richiesti. Stiamo inoltre realizzando una sala radio in Prefettura. E, al di là delle emergenze, ci capita anche di trasferirci, con le nostre attrezzature, per trasmettere in vari luoghi del mondo: da Lampedusa alla Mongolia, dal Salvador all’Isola di Pasqua, dal Camerun all’Isola di Sazan in Albania». Marco Guggiari

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