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Il grande Pietro Mascagni nei ricordi di famiglia

Verso il 150° della nascita La cugina Margherita: «Lo conobbi alla Scala, avevo nove anni» «Conobbi lo “zio Pietro”, come lo chiamavamo noi, quando ero ancora una bambina. Fu il nostro unico incontro. Avvenne alla Scala di Milano, nel cinquantesimo della “Cavalleria Rusticana”. Mio padre mi portò da lui nel suo camerino. Mi fece l’impressione di una persona anziana, aveva già 76 anni. Mi disse: “Tu sei Rita. E quanti anni hai? Eh, anch’io ho avuto nove anni? Sei proprio una Mascagni”». È questo uno dei ricordi, il più diretto, che la comasca Margherita Mascagni conserva del grande compositore e direttore d’orchestra del quale porta lo stesso cognome. Tra una decina di giorni, il 7 dicembre, saranno centocinquant’anni dalla nascita del musicista a Livorno, ma a tutti gli effetti pisano di San Miniato al Tedesco. La signora Margherita e sua sorella Bruna vivono nel capoluogo lariano. Il loro nonno paterno e il babbo di Pietro Mascagni erano fratelli. Su una parete di casa fanno bella mostra una fotografia del maestro e una lettera autografa inviata al loro papà, Luigi, anch’egli musicista, che studiò a Pesaro e a Roma direttamente sotto la guida del famoso cugino. «La sera che papà ci portò a quell’incontro – prosegue la signora Margherita – poi ci riaccompagnò in albergo e lui tornò a giocare a scopone per tutta la notte con Pietro che era completamente preso da questa passione: giocava e s’arrabbiava. Poi, di giorno, dormiva fin verso le due o le tre del pomeriggio. Quindi si metteva a comporre». Pietro Mascagni morì cinque anni più tardi, il 2 agosto 1945 a Roma. La guerra era finita da poco. «Papà gli mandava qualche sacchetto di riso, ma lui ormai non stava quasi più in piedi. Fu il primo a dirigere un’orchestra in piedi e, quando fu vecchio e malandato, il primo a farlo da seduto». L’autore della mitica “Cavalleria Rusticana” e di altre quindici opere era in ottimi rapporti con il cugino Luigi e con suo fratello Mario, anche quest’ultimo musicista, secondo tradizione di famiglia. Entrambi aiutavano quanto più possibile Pietro nel suo lavoro. «Quando Mascagni morì all’Hotel Plaza di Roma – è il rammarico della signora Margherita – nell’albergo erano ancora alloggiati i francesi e la loro fu l’unica bandiera a mezz’asta. Pietro era considerato compromesso con il regime fascista e venne sostanzialmente ignorato. Il popolo gli tributò un grande omaggio mettendosi in coda per l’estremo saluto. Non si può certo dire altrettanto per il governo, allora guidato da Ferruccio Parri». Il papà della signora Margherita fu poi invitato alla traslazione della salma del cugino a Livorno, città che gli intitolò la terrazza sul mare. Mascagni aveva studiato al Conservatorio di Milano, ma era insofferente alle regole. Così scrivono i suoi biografi. «Si sentiva in prigione. Non andava d’accordo con il direttore del Conservatorio. Quando ancora frequentava il liceo classico, prendeva già lezioni di musica dal maestro Alfredo Soffredini. Ho una lettera che lo attesta: era il 1880 e Pietro aveva soltanto diciassette anni. Fu spinto a mostrare una delle sue prime composizioni, l’intermezzo del “Sogno di Ratcliff”, al direttore del Conservatorio. Questi lo stroncò, dicendo che si trattava di “musica da matti”. Per tutta risposta, Mascagni replicò: “Tu valuti le musiche con un occhio a Parigi e uno a Costantinopoli”. A quel punto fu messo davanti all’alternativa di andarsene o di essere cacciato e lasciò la scuola». Il futuro del grande compositore fu in relazione con altri “big”, o destinati a diventare tali. «Con Giacomo Puccini, di cinque anni maggiore di lui, condivise la camera al Conservatorio – conferma la signora Margherita – Gli era molto affezionato e pianse per la sua morte avvenuta a Bruxelles. Mascagni era amico anche del compositore Umberto Giordano e si fece parte attiva affinché l’Andrea Chénier fosse rappresentata alla Scala e fu un trionfo? Conobbe a Parigi lo scrittore Gabriele D’Annunzio, che lo canzonò, definendolo “maestro di banda”, ma poi lo rispettò. Frequentò lo stesso albergo di Giuseppe Verdi. Con il direttore d’orchestra Arturo Toscanini polemizzò: Mascagni volle osservare come provava una sua opera. Toscanini se ne andò infuriato e gli mandò a dire che non avrebbe mai più diretto una sua composizione. La replica di Mascagni fu secca: “Ditegli che io, invece, sarei lieto di dirigerne una sua, ma non ne ha mai composte?”». Mascagni ebbe anche una vita sentimentale piuttosto movimentata, in linea con il suo carattere esuberante. «Sposò in giovane età Lina Carbognani, di un anno maggiore di lui. Avevano avuto un figlio prima del matrimonio, che però morì. Poi ebbero altri tre figli: Domenico, Emilia ed Edoardo. In seguito si innamorò perdutamente di Annuccia, una sua bella corista: lei aveva 22 anni, lui già 47. Le scrisse qualcosa come 5mila lettere? Lei restò al fianco di Mascagni con discrezione per trentacinque anni. Non volle rovinare la famiglia di lui». Pietro Mascagni era anche un uomo che teneva alla moda. «Si tingeva i capelli per sembrare più vecchio. Inventò la pettinatura alla Mascagni. Andava a teatro con il cilindro. Quando soggiornò a Londra, in seguito le donne pagavano per dormire nella stanza dove aveva alloggiato. Lui, dal canto suo, era refrattario all’etichetta e rifiutò di dirigere un’opera rivolto verso la Regina Vittoria e indossando i guanti bianchi. La sovrana lo autorizzò a fare di testa sua…». Mascagni coltivò l’hobby delle collezioni. Raccoglieva di tutto: pipe, bastoni, ceramiche, lettere strane. «Aveva viaggiato tanto in tutto il mondo e dove andava acquistava qualcosa. A mio padre scrisse tante lettere e poi gliele chiese per farne un museo». La fama e il successo di Pietro Mascagni restano inscindibilmente legati alla “Cavalleria Rusticana”. «Alla “prima”, al Teatro Costanzi di Roma, c’era poca gente ma alla fine ci furono applausi scroscianti e sessanta chiamate. In occasione della “seconda”, il teatro rigurgitava di pubblico». Quell’opera segnò davvero la svolta nella vita e nell’attività professionale del maestro. «Prima di allora guidava una compagnia di operette e se la passava male. Lo stesso librettista Giovanni Targioni-Tozzetti era così squattrinato che gli scrisse le parole di “Cavalleria” su cartoline postali, che poi gli spediva. Non aveva i soldi necessari per raggiungerlo a Cerignola, nel Foggiano, dove in quel periodo Mascagni viveva. E fu la moglie Lina a spedire il plico con la musica, di nascosto, all’editore Sonzogno a Milano. Giunse tre giorni dopo la scadenza del concorso, ma lo accettarono. E il premio in denaro fu di mille lire dell’epoca». Marco Guggiari

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