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«Non dimenticherò mai cosa vidi quella notte a Conca di Crezzo»

L’anniversario dell’Atr 42 Il fotoreporter Giancesare Bernasconi ricorda il disastro aereo «L’aereo non si trovava. Pensavamo che fosse finito nel lago. Nell’aria però c’era una forte puzza di gasolio. Questo dava l’idea che il disastro potesse essere avvenuto da quelle parti?». Giancesare Bernasconi, 75 anni, storico reporter del quotidiano “La Provincia” per oltre mezzo secolo, fu tra i primi a giungere nella valle delle lacrime, quella Conca di Crezzo dove il 15 ottobre 1987 si schiantò l’Atr 42 con a bordo 37 persone: 34 passeggeri e 3 membri dell’equipaggio, tutti morti, come un giovane carabiniere che perì in seguito, durante le difficili operazioni di recupero. Il velivolo era decollato da Milano-Linate alle 19.13, diretto in Germania, all’aeroporto di Colonia. Alle 19.28 il tragico impatto, preceduto dal disperato tentativo di evitare la caduta. Drammatico il concitato dialogo tra comandante e copilota negli istanti in cui accadde l’irreparabile, così come ci è stato consegnato dalla scatola nera. Copilota: “Tiralo su, tiralo su”. Comandante: “Sto tirando!”. Copilota: “Milano A? 460. Siamo in emergenza. Stiamo precipitando!”. Comandante: “Ho i comandi bloccati!”. Poi più niente. L’aereo precipitò alla velocità di seicento chilometri all’ora in un luogo impervio nel territorio del Comune di Lasnigo, tra Canzo e Asso, una zona che guarda già verso il Lecchese, su Onno. Quella sera pioveva a dirotto e l’inchiesta accertò che in quota, a causa delle avverse condizioni atmosferiche, si era formato ghiaccio sulle ali. Rari testimoni parlarono di un’improvvisa palla di fuoco nel cielo, seguita da un terribile boato. Dopo il primo lancio d’agenzia, Giancesare Bernasconi fu chiamato dal direttore del giornale, Sergio Gervasutti, e partì assieme al collega della cronaca, Pierangelo Marengo. «Cominciammo a cercare, aiutati anche da un macellaio di Valbrona che conosceva bene i luoghi e salì in auto con noi – ricorda – Ma l’esatta localizzazione di ciò che restava avvenne soltanto verso le quattro di mattina, grazie agli elicotteri dei carabinieri che avvistarono i rottami». Cosa vide il fotoreporter comasco è difficile da riferire. Poveri resti umani erano sparsi ovunque: «Nella valle e sui rami degli alberi, lungo un tratto scosceso di trecento metri, c’erano foglie e altro? Non dimenticherò mai in cosa mi imbattei nel giardino di una villa che si affacciava sulla valle. Restai sconvolto per la quantità di dita delle vittime? Nella mia vita professionale ho fotografato tanta cronaca nera, ma un fatto così non mi era mai accaduto, né mi capitò in seguito? E come volontario della Croce Rossa guidavo anche le ambulanze…». Man mano che il tempo passava affluivano soccorritori e mezzi. Bernasconi fece più volte la spola da Como con altri colleghi: «Andai avanti e indietro per tre giorni. Di notte faceva già freddo, ma rimasi sempre in servizio». A poco a poco le salme venivano ricomposte come si poteva: «La palestra di Asso si riempì di bare, proprio come è accaduto nei giorni scorsi a Lampedusa in seguito al tragico naufragio dei migranti». A Conca di Crezzo un altare che assomiglia al timone di un aereo ricorda i morti di quella tragedia. Marco Guggiari

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