La medicina omeopatica, i suoi rimedi e le obiezioni

Intervista con Carlo Maria Rezzani, unicista e dottore di base Crede nella medicina convenzionale e in quella omeopatica e la sua esperienza ultratrentennale in entrambi gli ambiti fa di lui un interlocutore interessante. Carlo Maria Rezzani, classe 1954, è medico di base a Carate Urio, suo paese d’origine, e ha uno studio professionale a Como. È tra i pochi unicisti della provincia lariana, vale a dire gli omeopati che utilizzano un farmaco singolo comprensivo della totalità dei sintomi e delle caratteristiche del paziente. Durante il nostro colloquio mostra il repertorio, testo base nel quale sono raccolti 170mila sintomi che si incrociano con circa 3mila rimedi. Laureato in medicina e chirurgia nel 1980 all’Università degli studi di Milano, è tra i fondatori dell’Associazione Lycopodium, dal nome del rimedio omeopatico che deriva da un genere di piante vascolari. Il sodalizio si aggregò nel 1978 intorno al medico belga Jacques Imberechts, vero guru per una nidiata di giovani dottori e studenti dell’epoca. L’occasione dell’incontro con Rezzani è la Giornata Internazionale della Medicina Omeopatica che si celebra il 10 aprile, domani. Giovedì 11, poi, gli specialisti del settore saranno disponibili per una prima visita gratuita a tutti i pazienti che lo vorranno. Dottor Rezzani, come nasce la sua scelta per l’omeopatia? «L’ultimo periodo dei miei studi universitari coincise con la riscoperta, a livello diffuso, di un approccio diverso alla salute e alla cura. Quel contesto stimolò il mio interesse culturale rivolto alla persona nella sua globalità e, quindi, a una medicina integrata volta a rafforzarla e non al sintomo singolo». Come definirebbe la medicina omeopatica? «Nella medicina convenzionale, che ha grandi pregi, quando una persona si ammala si procede con la diagnosi e con la terapia a livello di un determinato organo o di una funzione. Nella medicina omeopatica si condivide la diagnosi a partire dall’anamnesi, ma si indaga su tutta la sintomatologia del paziente. Si cerca di tessere i fili di un meccanismo alterato e il rimedio che può regolarizzare tutti i fenomeni. E questo, secondo il principio per cui ciò che corrisponde a un disagio nella persona sana, correttamente diluito è rimedio per la persona malata». Si parla di progressi lenti, apprezzabili soltanto nel tempo. Quale atteggiamento è importante per curarsi con l’omeopatia? «Non è esattamente vero. Dipende dal tipo di patologia. L’obiettivo è prescrivere un rimedio che permetta di migliorare una situazione biologica. Per intenderci, in una situazione acuta, supponiamo una bronchite, la medicina convenzionale ha innegabilmente una risposta più immediata. In altri casi, però, ad esempio cefalee, dismenorree, atopie nei bambini, infiammazioni delle prime vie aeree, gli antibiotici possono risolvere il problema solo momentaneamente. Ecco perché io insisto nel dire che è importante integrare la medicina convenzionale con un percorso omeopatico: non c’è mai antagonismo tra l’una e l’altro». A livello medico e scientifico, in generale, c’è un diffuso scetticismo nei confronti dell’omeopatia. «Senta, oggi in Europa una percentuale che si aggira fra il 30 e il 35% dei pazienti si cura con medicine alternative. Lo scetticismo maggiore deriva dal fatto che la medicina convenzionale è giustamente legata ai principi farmacologici. Aggiunga poi l’aspetto lobbistico costituito dalla case farmaceutiche… È nota però l’esistenza di meccanismi che hanno effetti biologici anche se non passano attraverso molecole. E questo avviene con le diluizioni di rimedi omeopatici». C’è un ambito che più di altri vede vincente questa branca della medicina? «In qualsiasi situazione e patologia la medicina omeopatica riesce a far stare un po’ meglio il paziente. Dal punto di vista del successo terapeutico, direi che l’omeopatia è la risposta migliore nelle patologie infiammatorie dei bambini, nei problemi delle prime vie aeree, nei disturbi di comportamento, d’ansia e di panico». Può raccontare, in base alla sua esperienza, un caso di guarigione particolarmente significativo ottenuto con l’omeopatia? «Ricordo due casi e mi limito a questi, nell’ambito familiare, per non violare la privacy dei pazienti. Il primo riguarda mio padre. Era affetto da una sciatalgia che lo aveva invalidato per tre mesi. Il giorno dopo aver assunto il rimedio omeopatico, camminava. Una mia zia aveva invece una patologia organica importante e si trovava in una situazione di pre-coma a causa di problemi cardiologici. Tre ore dopo la somministrazione del rimedio omeopatico si svegliò e chiese di bere, poi di mangiare. Tornò a camminare e visse ancora per diciotto mesi». Marco Guggiari