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La volta che Fausto Coppi passò dalla dogana di Ponte Chiasso

Io non ci sono in questa bellissima foto che dà calore e tono al mio ricordo. Siamo alla dogana di Ponte Chiasso, un folto gruppo di persone è in posa attorno a un sorridente signore in camiciola con un giornale arrotolato tra le mani. Si tratta, per dirlo nel linguaggio dell’epoca, “nientepopodimeno” che di Fausto Coppi, il mitico campione per cui era stato coniato il titolo di “campionissimo”, consacrato nell’Olimpo dei miti sportivi dal cronista Mario Ferretti che un giorno aveva iniziato la radiocronaca relativa alla tappa del “Tour di France” con la frase poi passata alla storia: “Un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi”. Me ne rammarico ancora oggi, anche se io ero un accanito “bartaliano”, un tifoso sfegatato di quel “Ginettaccio” che dava cuore, animo e forze nel vano tentativo di lasciarsi alle spalle l’inarrivabile campionissimo. È un mattino di giugno del 1957. L’airone, così lo chiama Gianni Brera, a sottolinearne la leggerezza e l’eleganza nel volo, contrapposte all’estrema fragilità a ogni caduta a terra, giunge a Ponte Chiasso per recarsi in una clinica del Canton Ticino per una riabilitazione a seguito dell’ennesimo incidente in corsa. L’arrivo del campionissimo è un avvenimento, la popolarità del ciclismo negli anni Cinquanta oggi non è neppure immaginabile. Via Vela e via Marchesi sono teatro di accanite battaglie a suon di figurine su cui spiccano i nomi e i volti dei grandi campioni. Il loro ricordo suscita malinconia, magone, tenerezza. Ugo Koblet, bello e vanitoso, prima di giungere al traguardo si pettinava… Colpevole, agli occhi di noi tifosi di Ponte Chiasso, di essere svizzero, per evidenti questioni di atavica rivalità di frontiera, e soprattutto reo della grave colpa di essere stato il primo straniero a vincere il Giro d’Italia e, per di più, nel 1950, l’Anno Santo. Stan Ockers, solido belga, duro, forte, tenace, veloce e resistente. Ferdy Kubler, il suo “nasone” lo favoriva in volata. Jean Robic, “testa di vetro”, che resisteva perfino a Coppi sulle strade del Tour fino a scoppiare distrutto dalla fatica. Louison Bobet, elegante, un signore raffinato, campione nei modi e nei gesti. Rik Van Steembergen, imbattibile in volata. E poi Coppi e Bartali, amatissimi con il loro gregari: Giovanni Corrieri, scudiero di Ginettaccio; Ettore Milano, fido del Campionissimo. Gli italiani erano divisi in due, i “coppiani” e i “bartaliani”. La rivalità tra i due campioni andava oltre il fatto sportivo. Oggi diremmo che Bartali era un conservatore, depositario delle più solide tradizioni, devoto, osservante, rassicurante. Coppi invece era visto come un “progressista”, un rivoluzionario, un uomo che aveva il coraggio di ribellarsi ai costumi e ai pregiudizi del tempo. La sua “storia” con la “dama Bianca”, il coraggio delle sue scelte, ne avevano fatto un simbolo del rifiuto del convenzionalismo di facciata. Coppi, Bartali e gli altri campioni si affrontavano ogni giorno al “lavatoio”, in fondo a via Vela. Un grande mucchio di sabbia prendeva in pochi minuti la forma di un circuito con tanto partenza, salite discese e arrivo. A ogni biglia di vetro il nome di un campione e via ad arrampicarsi sui colli di sabbia ribattezzati Galibier, Tourmalet e a contendersi in volata il Campionato del mondo… Di fianco al lavatoio scorreva un ruscello. Oltre il ponticello traballante un sentiero portava fino a via Brogeda. Dove oggi è la dogana, c’era un fontana. Era il punto di partenza della quotidiana corsa in bicicletta fino all’arrivo a Maslianico, al ponte sul torrente Breggia. Io avevo una Legnano, la bici di Bartali, ma faceva donna, senza cambio e con i freni a bacchetta… Forse per questo non arrivavo mai primo! Ritorno alla foto a cui ho fatto riferimento, dove io non ci sono. Curiosa la sua storia. Tra gli ispettori della dogana c’era un tale dottor Magri, appassionato di fotografia. Appena saputo della presenza di Coppi corse a casa, un palazzo a ridosso della dogana, prese la macchina fotografica e scattò quell’istantanea per la gioia dei presenti, smaniosi e felici di essere immortalati con il campionissimo. Infatti sorridono tutti soddisfatti, compreso il mio amico Gerardo, quel bel ragazzo alto con i capelli neri che ha la grave colpa di non avermi avvertito della presenza di Coppi e, però, anche il merito di avermi regalato questa bellissima e preziosa fotografia.

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