L’uomo che colleziona Como

Passione di una vita Non si può conoscere bene Enrico Levrini senza le sue collezioni. Quando ne parla s’illumina d’immenso. Poi si tuffa nel suo deposito, un po’ come fa zio Paperone con i dollari, e approda in un’altra epoca nella quale la gente viveva meglio. Ma la sua non è solo un’operazione nostalgia alla ricerca del buon tempo antico; è anche recupero di valori per oggi, come emerge dalla chiacchierata che segue. Cinquant’anni ancora da compiere, tecnico ortodontista (costruisce apparecchi per correggere i denti destinati ad aziende specializzate del settore), accenna al dramma personale con cui tutto ebbe inizio: «Mi sono accostato alla Storia da giovane, dopo la morte di qualcuno a cui ero molto legato. Ho cominciato a capire le persone e le cose e questo mi ha cambiato radicalmente». E la Storia, per lui, è anche carta stampata, fotografia, memorabilia sportiva. I numeri parlano chiaro: in quarant’anni di paziente raccolta, perché gli esordi risalgono alla tenera età, ha messo insieme 12mila giornali sportivi locali d’epoca, 5mila cartoline di Como e del Lario, 400 album di figurine. Ne parliamo nel salotto della sua bella casa che si affaccia sui giardini a lago e dove, adagiato su un tavolo, campeggia un grande campo di calcio del mitico Subbuteo, con tanto di tribune e cartelloni pubblicitari. Com’è nata la passione per le raccolte e per le collezioni? «Da bambino e grazie a un’eredità culturale familiare. La nonna paterna era una maestra elementare e aveva tanti libri. Prima di addormentarmi capitava che mi leggessero il “Candido” di Guareschi anziché “Pinocchio”». Quanto ha a che fare con il suo legame con la città di Como? «Molto. È un legame fortissimo e mi fa molto arrabbiare che la nostra città, a livello di cultura collezionistica, sia inesistente. Altrove esistono gruppi di studio sulle immagini del passato. Ci si preoccupa della digitalizzazione. Per me, comunque, è una grande soddisfazione la fiducia di famiglie comasche che mi affidano testimonianze della loro storia. Io archivio e conservo tutto con scrupolo. Non scambio e non vendo mai». Cosa significa per lei collezionare, quale emozione le dà? «È un po’ come fermare il tempo. Si sente di avere in mano un potere. Ogni oggetto, ben collocato, fa tornare indietro nel tempo. È sete di possesso, cultura. Nietzsche sosteneva che esiste una sincronicità tra le persone; Carl Jung andò oltre affermando che questa sincronicità esiste anche tra le persone e le cose. Al collezionista capita di percepire la mancanza di un oggetto come la privazione di un braccio? Viviamo in anni in cui si getta tutto e nulla ha più valore. Dietro ogni oggetto, invece, c’è chi l’ha creato e già questo è un valore». Partiamo dalle cartoline : raffigurano scorci di una Como d’altri tempi che non c’è più. Cosa cerca inseguendola con queste immagini? «Cerco una Como diversa, con il suo bel lungolago ben sistemato, con i tram che sferragliano al posto delle auto, con tanta gente allo stadio. Cerco un passato che non c’è più, una vita semplice, con più felicità anche se eravamo più poveri». E le figurine dei calciatori cosa rappresentano? «È tornare bambini. Per me è il connubio che ho sempre sentito forte con la Storia e con lo sport. I ragazzi adesso usano pezzi di plastica. Per noi era diverso, c’era un rituale: la colla Coccoina, le figurine cartonate con le quali si giocava all’oratorio e in mezzo alla strada. Poi si tornava a casa con quelle immagini tutte rovinate e si era ancora più contenti. Adesso, per un angolino piegato i bambini si mettono a piangere? Si creavano amicizie. Ecco il vero viaggio nel passato. Poi, quelle figurine raffiguravano i protagonisti di uno sport pulito. Riempivano gli stadi, erano grandissimi eroi per noi e per la stampa che raccontava le loro gesta. La tv era appena arrivata. Popolavano un mondo vero che è scomparso». Il calcio e lo sport sono presenti anche nella sua collezione di giornali. «Quella dei giornali sportivi è la collezione che sto più valorizzando negli ultimi anni. Sono testimonianze assolute del tempo e degli avvenimenti. Il fatto che siano stati acquistati, letti e conservati sono segni della loro importanza». Un’altra sua grande passione è la fotografia sportiva, legata alle vicende agonistiche del calcio Como e della Pallacanestro Comense. «La fine della Comense è uno dei più grandi dolori della mia vita. Questa gloriosa società è stata un mix di sport, città, tradizione e storia. Era tagliata su misura per me? Quanto al Calcio Como, sono nato davanti allo stadio, iniziai a seguire le partite all’età di sei anni. Il calcio, però, non è mai riuscito a coinvolgere la città e a far crescere giovani che diventassero bandiere durature della squadra locale. Adesso si tenta di invertire la rotta, ma occorreranno anni. Ma per tornare alla domanda, la fotografia è una conseguenza del collezionismo; significa avere la testimonianza di un evento, fermando il tempo in un documento». Nella sua vita c’è anche l’arte: lei ha dipinto quadri d’impronta, per così dire, razionalista, però sempre ispirati a caratteri, eventi, situazioni della città? «Sì, il mio studio intorno alla città mi ha portato a ritrovare le linee razionaliste e a farmi concludere che Como è questa. Essenziale. Dopo la grandezza del “Gruppo Como”, nessuno ha più studiato la nostra terra e le sue origini da un punto di vista artistico. Peccato davvero: abbiamo vissuto un’età d’avanguardia e adesso stiamo diventando ultima ruota del carro». Parliamo dei libri. Lei ne ha scritti e illustrati tanti. Tra gli altri, sulle esondazioni del Lago di Como, sulla squadra di calcio cittadina, su crotti e ristoranti. Qual è quello a cui è più affezionato? «Il libro dedicato al Calcio Como. Dopo cinque anni, ne parlano ancora tutti. Resto però convinto che il lavoro più difficile e più bello sia stato “Bagliori di giovinezza”. Non c’è niente del genere a Como, perché è sempre stato un tabù scrivere degli anni del regime fascista. Posso anticipare un prossimo libro sul tema delle esondazioni, legato alla situazione del lungolago». Come convive con le sue collezioni, come le ordina? «Ho sempre lavorato con biglietti e schedari. Le tecnologie digitali hanno sconvolto il mio schema mentale di archiviazione. Gli oggetti vengono fotografati, scansionati e immessi nel computer. E poiché la cosa più difficile è ricordarsi quanto si ha, le tecnologie indubbiamente aiutano. Io seguo un criterio di catalogazione a livello temporale e toponomastico locale». Marco Guggiari