Una giornalista comasca a Pechino

Persone e Paesi – Un tesoro culturale e professionale L’esperienza della freelance Emma Lupano e la chiave di volta della lingua cinese Chi impara il mandarino cinese trova un tesoro. È quanto può dire la giornalista comasca Emma Lupano. La sua esperienza a Pechino, prima professionista italiana a lavorare al “Quotidiano del popolo”, è stata un vero giro del mondo. Nel senso che le ha aperto frontiere di conoscenza, di vita e di esperienze professionali. La sua storia merita di essere raccontata fin dai primi passi mossi a Como da collaboratrice del nostro giornale. A un certo punto, dopo gli studi, il salto nell’Oriente, estremo di nome e di fatto per una giovane occidentale. All’epoca Emma aveva alle spalle il diploma di liceo classico al “Volta”, la laurea in Scienze Politiche alla Statale di Milano e il dottorato alla Sapienza su culture, civiltà e società dell’Asia e dell’Africa, con una tesi dedicata ai media cinesi, per la quale ha ricevuto il premio internazionale di giornalismo Maria Grazia Cutuli. Come nacque l’idea della Cina? «A Scienze Politiche avevo studiato cinese perché volevo capire come funzionava una lingua “strana”. Tutto iniziò con la visione di un film, guardando il quale rimasi affascinati dall’aspetto estetico degli ideogrammi?». Emma era già freelance, come si chiamano i giornalisti che non hanno un rapporto organico ed esclusivo con una testata editoriale. Aveva lavorato a Como e a “Libero”, quotidiano nazionale. Quando fu tratto il dado? «Nel settembre 2004. Avevo vinto una borsa di studio per andare in Cina dov’ero già stata nel 1999, quando avevo 21 anni. Durante quella prima esperienza mi accorsi che non riuscivo nemmeno a leggere i nomi delle fermate dell’autobus? Con angoscia mi chiedevo: “Come faccio”? Ero ostaggio dell’università, dove bene o male riuscivo a vivere? Poi, a un certo punto, ho inforcato una bici e sono uscita». Com’è stata la tua vita a Pechino? «Ho vissuto lì dal 2004 al 2008. È stato un adattamento graduale. In Cina si è molto protetti se si è studenti. Si può vivere nel campus. Dopo due mesi sono andata ad abitare in una casa con altri tre studenti stranieri. Bussavamo alle portinerie? Ho firmato un contratto senza sapere bene cosa? Ricordo la difficoltà di acquistare la tessere prepagata per avere l’elettricità». Quando ti sei sentita finalmente disinvolta? «Dal punto di vista linguistico, pienamente, mai. Nel senso che se non si conosce il contesto di un discorso, si può non capire affatto, o equivocare. Per ciò che concerne la capacità di muoversi, mi sono occorsi mesi. Posso dire che dopo un anno mi sentivo a casa». Consiglieresti questa esperienza ai giovani? «Certamente. Mi sorprendo quando la gente chiede della Cina come se fosse un altro pianeta. Tanto più i ragazzi. Proprio non riesco a capire. Non mancano i modi per partire. Io la Cina me la sono sempre pagata da sola». Quando hai iniziato a lavorare in Cina da giornalista? «Arrivai a inizio settembre 2004 e già a fine mese andai a Shanghai per l’Istituto per il Commercio estero in occasione della presentazione della Ferrari. Quell’anno fu fortunato. Rinasceva l’interesse per tutto ciò che era cinese in concomitanza con le Olimpiadi di Pechino. Ricevetti un sacco di richieste dall’Italia. Il lavoro non mancava certo. Radio e giornali mi chiedevano servizi sulla società cinese, sulla sua cultura ed economia. Prendevo spunti da vicini di casa o andando a fare la spesa. C’era grande curiosità, veniva chiesto di raccontare il “grado zero” di quel grande Paese». Emma Lupano ha avuto anche la possibilità di lavorare per il “Quotidiano del popolo” di Pechino. Da quell’esperienza è nato un bel libro: “Ho servito il popolo cinese”, edito da Brioschi (pagg. 174, euro 15 – versione e-book sul sito http://www.bookrepublic.it). Come fu quel periodo? «Lavorai per tre mesi nella redazione di lingua inglese del sito Internet. Mi accorsi che c’erano solo traduttori. Io potei scrivere pezzi di colore con taglio sociale, interculturale: come un’occidentale vede alcune cose della società cinese. Il mio primo articolo riguardava avere trent’anni in Cina. Poi ne feci un altro sulla ricostruzione, che in Cina è preferita al restauro o alla ristrutturazione? In seguito, per le Olimpiadi, lavorai anche nell’agenzia di stampa “Nuova Cina”». Come ti trovavi nel più importante quotidiano comunista rimasto al mondo? «Tutto era piuttosto nebbioso. Non so chi controllasse i miei pezzi. Non ho mai saputo cosa dicessero nelle riunioni dalle quali io ero rigorosamente esclusa». Emma Lupano è rientrata in Italia dove oggi, a 34 anni, è docente a contratto di Lingua e cultura cinese all’Università degli Studi di Milano. Nell’ambito dello stesso ateneo è inoltre responsabile della comunicazione dell’Istituto Confucio per la promozione della lingua e della cultura cinese. «Da freelance seguo molto i media cinesi. Esploro temi specifici che compaiono su quelle testate giornalistiche e seguo gli autori cinesi in Italia. Poi ci sono le Olimpiadi. Iniziai nel 2006 con i Giochi Invernali di Torino grazie al fatto che conoscevo il cinese. Oltre che per quelle di Pechino, ho lavorato per i Giochi di Vancouver, Londra, per i Giochi Asiatici di Doha in Qatar, per i Mondiali di Melbourne e per quelli, recenti, di nuoto in vasca corta a Istanbul». Marco Guggiari