Tracce lariane sull’isola Vip di De Carlo

Personaggi – Parla l’autore dell’ambizioso romanzo “Villa Metaphora” appena edito da Bompiani. «Verrò a presentarlo anche a Como», dice Il primo curioso indizio è appena entrati, sulla sinistra, a pagina 10. L’isola di Tari, oscuro avamposto italiano nel Mediterraneo a Sud della Sicilia, «tra Malta e la Tunisia», viene citata – in una scheda stampata da un sito Internet – con il nome di «Emfanis» dalla Naturalis historia, la monumentale enciclopedia dell’erudito lariano Plinio il Vecchio. Il secondo indizio è poco dopo. Il glorioso, lucente e assai poco risparmioso motoscafo Chris Craft, con il suo possente motore V8 e i suoi legni pregiati e la sua aria così vintage e lussuosa, è stato acquistato da un collezionista proprio sul Lario. È un crescendo narrativo tutto da scoprire, costellato non solo di sexgate alla Strauss Kahn e strizzatine d’occhio a casi come vallettopoli e il naufragio della Concordia ma anche di riferimenti lariani. È il nuovo romanzo di Andrea De Carlo Villa Metaphora (pp. 915, 19.50 euro), edito da Bompiani. Romanzo fluviale, meglio isolano, perché come detto tutto ruota attorno a questa isola inventata, Tari, come inventato (mescolanza di sette idiomi e il sette è a sua volta metaforica ricorrenza in tutta l’opera) è il linguaggio-esperanto dei suoi abitanti. Villa Metaphora (nome tutto un programma) è un esclusivo resort per Vip che con immani fatiche – si raggiunge solo via barca o in elicottero (ma rischiando grosso) – una archistar è riuscita ad aprire per una clientela superselezionata. Che al confronto Villa d’Este è un motel: 5mila euro a notte, con pasti firmati da uno chef a 3 stelle. Ci sono il banchiere che si fa un baffo della crisi, l’attrice Usa al top in crisi, un’infiltrata speciale, il politico di professione all’italiana. E una girandola di colpi di scena che tengono il lettore sempre avvinto. Infatti è un libro che appassiona, fa sorridere e indignare. Al tempo stesso thriller e satirico. E zero paure per la mole: il primo libro della trilogia delle Cinquanta sfumature è di poco più snello, ma è un monumento alla noia. Qui ci si diverte, eccome. Per di più con vari spunti lariani, si diceva. Sì perché il politico cui si accennava – gliene capitano di tutti i colori – è di Como (nessun riferimento a persone reali, De Carlo lo sottolinea strategicamente). E passa da Como anche un fiume di denaro che l’architetto artefice del resort (teatro di vicende, sogni, contraddizioni che sono tutte metafore di questi tempi sgangherati) ha fatto transitare fino a una banca svizzera come castelletto privatissimo in vista di eventuali crac epocali. «È un’opera che si può leggere a più livelli e questo sempre di più mi pare connoti i miei lavori – dice Andrea De Carlo – Il libro per ora ha avuto una risposta molto buona e dopo un primo tour di presentazione in Lombardia penso proprio che verrò a leggerne qualche pagina e a firmarne copie anche nella vostra Como. Che qua e là evoco insieme al suo territorio come zona simbolo di confine, così come sul crinale vivono i miei personaggi, ospiti di questa isola sperduta tra Africa e Italia». Per De Carlo si tratta della rivincita del romanzo corposo e denso. Basta ai narratori minimalisti e “light” senza sostanza come quelli in cui si imbatte un personaggio del libro: «Ci sono elementi di avventura e di suspense ma anche molte considerazioni sul mondo di oggi, ed è anche un laboratorio di indagine psicologica sui personaggi: rappresentano vari “tipi” umani ma tutti rivelano una personalità e un’umanità complessa e viva. Non volevo stereotipi che non lasciano spazio a dubbi oltre il velo delle apparenze. E invece purtroppo spesso noi ci fermiamo alla mera classificazione automatica delle persone, in base a dati esteriori come l’aspetto o la professione. Certo, sarà difficile farne un film, perché è una trama che contiene mille storie. Rivendico questa dimensione del romanzo, che chiede udienza in termini di tempo, spazio, respiro. Questo vuol dire molto in tempi in cui si attira l’attenzione con un sms o con un tweet di poche parole». Lorenzo Morandotti