Letizia Gambi – Passioni fusion

Personaggi – Esce in Italia il cd della cantante lariana che è star negli Usa tra jazz, pop e Mediterraneo Non ha confini la passione fusion di Letizia Gambi (nella foto grande, in una delle sue immagini ufficiali). Dalla sua Como è partita lo scorso anno alla conquista dell’America. Dove ce l’ha fatta, con la sola forza del suo carisma e un parterre di partner di assoluta eccellenza che hanno creduto in lei. Ha sfondato, per dirla tutta. Di recente con le sue canzoni e la sua voce sensuale e capace di spaziare da timbri caldi a sfumature leggere ha saputo convincere un palato esigente come quello di Sting ( «Letizia Gambi è una cantante straordinaria!») e ora sbarca in Italia con il suo disco d’esordio Introducing Letizia Gambi, distribuito da Emi, in versione digitale su iTunes e anche nei negozi. «Exotic», «mediterranean», «authentic», «rare», «romantic» e «passionate», così si promuove nel sito Letizia parlando del primo disco che è una produzione internazionale dal sapore tutto italiano. Anzi italiano verace, con una forte impronta, come si diceva, partenopea. Il disco ha sfondato nell’esigente mercato degli Usa e in Canada, a solo un mese dall’uscita, lo scorso 18 settembre. Letizia deve molto a (lei dice «tutto») a Lenny White, il mitico batterista di Miles Davis che è stato tra i fondatori della musica fusion e ha appena vinto il suo quarto Grammy. «È stato mio mentore nel mondo del jazz, e mi ha fatto crescere enormemente». Ne è passato del tempo da quando Letizia lo conobbe nel locale “Blue Note” di Milano, dopo il suo concerto. Ora stanno già lavorando alle basi del secondo disco, e pianificando una tournée che partirà dagli Stati Uniti e toccherà nei prossimi mesi anche l’Italia, con tutta probabilità pure il “galeotto” tempio del jazz meneghino, il Blue Note da cui l’avventura ha preso avvio. La data è prevista tra gennaio e febbraio del 2013. «Lo ha rilevato più di un articolo uscito sul mio disco: io ho voluto farmi ambasciatrice della musica italiana con questa operazione discografica e la prossima tournée, soprattutto nel segno di una “fusion” culturale che intende essere del tutto nuova e originale». Così Letizia spiega il suo disco e la sua musica. Che è autoprodotta: «Ho una mia identità, le mie radici. Il mio progetto osa molto. Ho rifiutato proposte da due major discografiche: non mi avrebbero rispettata». Il disco contiene brani di Lucio Battisti (And I think of you, ovvero E penso a te), ma anche cover di Björk (l’impegnativa Bachelorette), e “ripescaggi” di una sconosciuta Mina come Soli («una perla assai poco nota degli anni Sessanta», dice Letizia), più tre brani originali in inglese e spagnolo scritti dalla comasca con il fido White. Ci sono anche una versione tutta speciale di Tu sì ’na cosa grande di Domenico Modugno, per la prima volta in inglese, e una “cover” jazzata di un classicissimo del nostro repertorio belcantistico come Una furtiva lacrima, da L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti. Ma anche Appocundria di Pino Daniele. «Sto già lavorando ad altri sette pezzi scritti da me con White – anticipa la bella cantante comasca – per ribadire quella che è la mia linea di ricerca espressiva: usare strumenti che mi facciano sentire il sapore delle mie radici partenopee: chitarra acustica, violoncello, bandoneon. Ma con un messaggio musicale originale. Che sia al tempo stesso mediterraneo e internazionale, elegante e passionale». Letizia – che il 21 novembre presenterà il disco alla Fnac di Napoli per poi volare nello studio televisivo di Gigi Marzullo su RaiUno nella trasmissione notturna Sottovoce – sottolinea anche la difficoltà cui può andare incontro un progetto così ambizioso e “crossover”: «Qualcuno – dice – storcerà il naso perché non è un disco di jazz classico, con standard riarrangiati. E non è un disco di pop, né un classico disco all’italiana nato per celebrare magari con arrangiamenti rinnovati il repertorio della canzone tricolore come quelli che egregiamente produce Renzo Arbore con la sua band. Il mio è invece un prodotto completamente nuovo. E penso si senta». E che disco, viene da dire anche al più profano degli ascoltatori, dato che con Letizia non ci sono i session man di una notte fugace in sala di registrazione, ma musicisti autenticamente mitici come Gato Barbieri e Chick Corea, senza contare il bassista Ron Carter che è arrivato alla notorietà nei primi anni Sessanta con il secondo grande quintetto di Miles Davis, che includeva anche Herbie Hancock, Wayne Shorter e Tony Williams. Sarà anche per queste collaborazioni, che definire prestigiose è riduttivo, che il disco è candidato ai Grammy Awards e lo trovi menzionato persino sulle news del sito ufficiale di Miles Davis (www.milesdavis.com)? Forse, ma a noi piace pensare che Letizia abbia trovato l’America con la sua freschezza e la sua entusiasmante voglia di coinvolgere il pubblico con la voce e la musica. «Mi piacerebbe che il pubblico capisse che nonostante abbia con me i pesi massimi del jazz americano, il mio non è e non vuole essere un disco di jazz puro – dice Letizia – anzi proprio per questo ci siamo messi d’impegno a coniare un neologismo per definirlo: cultural fusion. E cioè la mia cultura mediterranea e napoletana, cioè il meglio dell’Europa, che per gli americani è sinonimo di esotismo, e il ritmo coinvolgente del jazz e del Rhythm ’n blues. È venuto fuori qualcosa che è esattamente la sintesi della mia essenza musicale. Ci sono i miei timbri, le mie corde. Sono io. Non la solita italiana che vuol fare la jazzista all’americana e scimmiotta gli standard imitando la cultura nera. Così mi sento molto più credibile». «Senza contare il fatto – conclude – che Sting, che ha detto di apprezzare molto il mio lavoro, il disco non l’ha ricevuto in omaggio dalla casa discografica ma l’ha comprato. Queste sono cose che non hanno prezzo. Da ragazzina avevo la camera tappezzata dalle sue foto. Un duetto con lui? Sarebbe un sogno». Lorenzo Morandotti