Il grande libro dei sogni popolato di opere mai nate

Sabato 29 Settembre 2012 Viabilità – le storie Metrò leggeri, autostrade sotto il lago, tunnel faraonici e costosi Breve storia dei 6 progetti rimasti (forse) per sempre nel cassetto Metropolitane più o meno leggere, tunnel più o meno lunghi, autosili più o meno capienti. La storia di Como è fatta di opere realmente costruite ma – o forse sarebbe meglio dire soprattutto – di opere sognate, ipotizzate, vagheggiate. E, in sostanza, mai realizzate (almeno finora). Ecco, in una rapida carrellata, i 6 progetti che prima di svanire hanno animato accesi dibattiti politici e popolari. Il LUNGO ELENCO Impossibile non partire dalla metrotranvia. Se non altro perché è stata l’idea probabilmente più seria, studiata e approfondita tra tutte quelle prese in considerazione. Da un ventennio a questa parte, non c’è stato sindaco o giunta che non abbia tentato di dare concretezza al trasporto veloce sui binari. Uno dei passi più concreti risale al 2001, quando il Comune investì la bellezza di 400 milioni di vecchie lire per far realizzare al Politecnico uno studio di massima dell’opera. Il cui tragitto ipotetico di base è rimasto sempre lo stesso: navette ferroviarie veloci e frequenti per collegare Lazzago con Como Lago, aggiungendo in alcune varianti una fermata all’autosilo Valmulini. Su questo schema di base, poi, sono fiorite le più varie e fantasiose varianti alternative, ma il costo di 80 milioni di euro le ha fatte svanire tutte, senza pietà. Tra la metà degli anni ’90 e i primi anni Duemila, un’altra opera calamitò polemiche e dibattiti a non finire: il tunnel sotto via Borgovico nuova. Un’opera che avrebbe dovuto “inghiottire” il traffico all’altezza della biforcazione per Cernobbio per riportarlo alla luce all’altezza di piazza Santa Teresa. Ma se fin dagli albori il progetto trascinò con sé dubbi e perplessità di ogni tipo, a dare la mazzata finale fu un fatto semplice: la necessità di far pagare un pedaggio di circa un euro ai comaschi per poter usufruire della galleria. La maggioranza di centrodestra dell’epoca (Forza Italia, An, centristi) si dilaniò a tal punto che l’idea finì presto nel dimenticatoio. E alla Corte dei Conti, visto che anche solo per polemizzare, l’amministrazione in quegli anni spese qualcosa come un miliardo e 350 milioni di lire in consulenze e progettazioni preliminari per il tunnel fantasma. Sempre per via Borgovico, a onore del vero, si continua a parlare del raddoppio della strada, con una nuova carreggiata da realizzare sotto la collina della ferrovia. Nel 2009, con 90mila euro, la giunta Bruni finanziò anche un progetto preliminare. Rimasto tale. In questa gita giornalistica a spasso nel tempo, è impossibile fare un salto ancora più all’indietro. All’8 marzo 1984, per l’esattezza. Ossia il giorno in cui il quotidiano comasco “L’Ordine” titolò così: “Il Tubolario del Duemila”. Il giorno precedente, 7 marzo ’84, un ingegnere milanese, Gianfranco Magrini, aveva consegnato ai cronisti lariani una notizia succulenta: di un’opera faraonica. Il Tubolario, appunto. Un gigantesco tubo subacqueo che dal Pian di Spagna sarebbe arrivato fino a Bellagio per poi biforcarsi verso Como e Lecco. Al suo interno, due canali paralleli situati a 20 metri al di sotto del livello di magra, con la struttura dimensionata in modo tale che anche a pieno carico tendesse a galleggiare, pur rimanendo sommersa da tiranti ancorati a zavorre appoggiate sul fondo del lago. Il tutto per alloggiarvi un’autostrada, una ferrovia e una metropolitana, con una serie di collegamenti tra le due sponde del Lario. Il costo di tanta roba? Diecimila miliardi di lire (del 1984) per vedere l’opera finita. Oggi, secondo i calcoli, ne servirebbero venti volte tanti. Inutile dire che non è il momento. E forse non lo sarà mai. Veniamo al 2004. E al progetto di un nuovo autosilo interamente realizzato sotto il lago, all’altezza della piazza della Funicolare. Uno studio di professionisti svizzeri – Passera&Pedretti; – illustrò alla giunta dell’epoca la prima bozza progettuale. Dopo 18-24 mesi di lavori e una spesa complessiva intorno ai 15 milioni di euro, l’autosilo, disposto su due piani, collegato a piazza Matteotti da un tunnel di ingresso, e capace di accogliere 325 auto (160 al primo livello e 165 al secondo livello), sarebbe stato realtà. Non ci fu nemmeno troppo tempo per sognare: ancora una volta le laceranti divisioni interne al centrodestra di governo (ampi settori di Forza Italia contrari, An favorevole) collocarono rapidamente l’opera nell’oblio. Ancora parcheggi, ancora sogni. Tra il 2003 e il 2006 il Comune di Como puntò forte su un’idea: realizzare un autosilo interrato su due piani lungo le mura storiche di viale Varese per 400 posti totali. Vennero spesi oltre 50mila euro per fare sondaggi sotterranei sulla possibile presenza di reperti romani, venne contattata la Soprintendenza, venne redatto un progetto di massima e venne pure svolto un referendum tra i residenti della zona per capire a quanti sarebbe potuto interessare parcheggiare nella nuova struttura. Il responso fu buono: 380 adesioni in pochi giorni, tra chi era disposto ad acquistare un posto con 30-40mila euro, e chi era disposto ad affittarlo (100 euro al mese). L’esito finale? Da quel momento, dell’autosilo non s’è saputo più nulla. Chiusura inevitabile per un sogno cullato fino a ieri o poco più: l’interramento della viabilità attuale da via Grandi fino alla Questura, liberando un’intera fetta di città da traffico e smog con “soli” 4 milioni. Era il pezzo forte del progetto Ticosa proposto da Multi. Ha fatto la stessa fine del progetto Ticosa proposto da Multi. Emanuele Caso