Martedì 25 Settembre 2012 Il figlio Nini ricorda la figura dell’imprenditore e non solo «Mio padre era un imprenditore serico di gusto spiccato e di grande bontà, d’animo generoso». Sono queste le prime parole con le quali il figlio Nini ricorda Gianni Binda. A lui si deve l’azienda omonima fondata nel 1945 in società con Ferruccio Bernasconi. Prima di allora, Gianni Binda – classe 1907, scomparso nel 1983 – aveva imparato il mestiere in tessitura al servizio di Guido Ravasi. Una scuola di altissimo livello: «la migliore» precisa il figlio. Diplomato al Setificio, il futuro imprenditore era diventato tecnico di cravatte proprio da Ravasi. Nel 1936 aveva sottoscritto una quota dell’azienda Serica Lombarda, rilevata da Marco Canepa e da Ambrogio Pessina. Quando nacque la “Binda”, con sede inizialmente in via XX Settembre poi in via Ferrari e infine in viale Geno, i primi telai furono installati in via Cadorna, mentre la stamperia fu collocata in via Milano e poi a Breccia. Nel 1972, a Binago, venne realizzata una tessitura gioiello a ciclo completo. Era questa la geografia comasca dello spirito d’impresa e della creatività del fondatore. Gianni Binda era figlio di Palmiro, commerciante di tessuti. Sposato con Clara Bernasconi, dall’unione nacquero tre figli: Nini, il cui vero nome è Palmiro, come il nonno, Enrico, detto Ricky, e Giovanna. «Pensi che Antonio Ratti faceva le “messincarta” (rappresentazione su carta dell’armatura di un tessuto, ndr) da mio padre», ricorda ancora Nini Binda. Naturale nel corso della chiacchierata capire anche quale piglio avesse in azienda il genitore. «Sapeva valorizzare al massimo i collaboratori e motivarli, non con spirito padronale, ma con apertura al dialogo – è la risposta – In questo mio padre e io siamo stati diversi: lui, a tratti, anche “compagnone”, non disdegnando grandi mangiate con i suoi collaboratori; io più distaccato, ferma restando sempre la gentilezza nei confronti di tutti». È singolare la varietà di interessi e di impegni, anche extra-professionali, coltivati da Gianni Binda. Dal versante amministrativo al servizio della città, a quello associativo, nello sport, alla passione per la cucina, che fece da molla all’idea di dar vita nel 1962, assieme a Gian Giuseppe Brenna, alla delegazione lariana dell’Accademia italiana della cucina. E riguardo alla passione gastronomica, Nini Binda racconta un aneddoto: «Mio padre era ammalato, si allontanava da casa a nostra insaputa. Io andavo a cercarlo e mi capitò di trovarlo seduto al tavolo di un ristorantino, vicino a viale Geno, davanti a un carrello di bolliti. Gli dissi sconsolato: “Ma papà!”. E lui, in dialetto: “Ta se propri un rumpiball, làsum murì in pas”». Quanto all’attività di uomo pubblico, tra il 1946 e il 1964 Gianni Binda fu consigliere comunale e poi assessore con deleghe al Turismo e allo Sport nella giunta guidata dall’avvocato Lino Gelpi. Rimise a nuovo la piscina Sinigaglia e vi inaugurò i corsi di nuoto. «Quando a mia volta approdai a Palazzo Cernezzi – rievoca ancora il figlio Nini – la prima sera che mi affacciai in aula, il compianto usciere Gigi Meroni mi apostrofò in vernacolo comasco: “Lei è il figlio del “barbisùn?” (soprannome dato a Gianni Binda per via dei suoi vistosi baffi, ndr). Guardi che suo padre qui faceva tremare tutti, tanta era la soggezione che incuteva per il suo rigore». L’impegno in Comune del figlio, a sua volta consigliere e assessore negli anni ’90 con il sindaco Alberto Botta, è stata l’ideale prosecuzione del servizio reso dal padre: «Quando ero giovane mi diceva: “Tu vai al golf; io invece in municipio, perché un imprenditore deve fare l’interesse della sua città. Altrimenti non può lamentarsi delle cose che non gli piacciono”. Per me fu una lezione postuma, nel senso che, a maturità raggiunta, avvertii anch’io l’esigenza di dare un po’ del mio tempo a Como». Tra le molteplici attività di Gianni Binda – che fu anche editore e giornalista, dal momento che fondò con Enrico Luigi Ferrario, detto “Fel”, il settimanale satirico e sportivo “Ul Tivan”, di cui fu anche direttore – uno spazio particolare ebbe lo sport. Non tanto per partecipazione diretta a discipline agonistiche, al contrario del figlio Nini che conseguì due volte il record mondiale di motonautica e che disputa tuttora gare di golf, bensì per impegno associativo. Gianni Binda fu presidente del Calcio Como quando, negli anni ’30, la società si chiamava in realtà Comense e ne fu commissario unico. «Nei suoi viaggi di lavoro – racconta Nini – Budapest era una piazza importante. Mio padre pescò proprio lì e portò a Como l’allenatore ungherese Gedeon Lukács, il primo a far giocare in Italia d’inverno i calciatori con indosso mutandoni lunghi a protezione dei muscoli». L’imprenditore comasco fu decisivo anche alla rifondazione della Canottieri Lario. «E quando gareggiavo in motonautica – è l’affettuosa chiusura – mi metteva in condizione di primeggiare con scafi adeguati». Marco Guggiari
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