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Bidello per vent’anni. Un osservatorio privilegiato del mondo scolastico e dei ragazzi che lo popolano

Martedì 11 Settembre 2012 L’intervista «Troppi tagli nella scuola. Una vera esagerazione. E’ una politica che non può reggere». Parola di bidello. Francesco Liguori lo è stato per vent’anni. Domani è il giorno del ritorno tra i banchi anche per gli studenti comaschi e il punto di osservazione di un collaboratore scolastico ha il suo valore. Figura a lungo snobbata, è stata di recente rivalutata dalla crisi. Non sono pochi i giovani che farebbero volentieri proprie quelle mansioni, anche se lo stipendio non è granché: 990 euro al mese, almeno inizialmente, per un lavoro che richiede sei ore al giorno distribuite dal lunedì al sabato, oppure un impegno di poco maggiore nell’arco di cinque giornate. «Nella situazione odierna, è un posto sicuro e abbastanza ambito», conferma Liguori. E i numeri gli danno ragione: la scorsa settimana sono state oltre cento le nomine di collaboratori scolastici. Francesco Liguori ha maturato tutta la sua esperienza nell’istituto d’istruzione superiore Jean Monnet di Mariano Comense con 1.500 alunni. Classe 1950, residente a Figino Serenza, è approdato al lavoro nella scuola dopo aver trascorso dieci anni nel settore privato: siderurgico, prima, tessile poi. Sposato e padre di due figli, da un anno è in pensione. Il cinema ha consegnato spesso l’immagine del bidello come se si trattasse di una macchietta. Un certo linguaggio politically correct, non privo di ipocrisia, ha imposto che non si chiamasse più con il suo nome, ma come impalpabile espressione del “personale non docente”. Le divise di un tempo, nelle scuole elementari e medie, sono solo un vago ricordo. «Giusto così – dice però Liguori – È sufficiente vestire con dignità, muniti di un pass di riconoscimento». Come racconterebbe il mestiere del bidello? «Come il lavoro della prima persona che si incontra a scuola. Fa attività di accoglienza, indirizza i vari utenti, sorveglia sugli spostamenti dei ragazzi. Direi che, in un certo senso, è la prima immagine della scuola». Lo reputa un bel lavoro? «A me è piaciuto e non volevo andare in pensione. Si è a contatto con tante persone diverse e grazie a questo ci si fa una cultura». Qual è la cosa più bella? «Vedere crescere i ragazzi con le loro paure e con le loro certezze. Si confidano, a volte chiedono cose che naturalmente non si possono fare: che gli si passi la soluzione di un compito, che li si chiami al momento giusto perché possano evitare un’interrogazione?». Come sono gli studenti? «Inizialmente timidi e paurosi poi, alla fine del loro ciclo di studi, padroni del loro futuro». Come sono cambiati nel tempo? «Vent’anni fa erano più rispettosi, meno irruenti. In passato accettavano di più anche i richiami benevoli. Il fatto è che anche le famiglie sono cambiate». E la scuola com’è cambiata? «Un tempo c’era maggiore partecipazione, sia da parte degli insegnanti, sia da parte degli alunni. Tutti erano più coinvolti». Se lei dovesse dare un consiglio ai ragazzi che domani torneranno nelle aule, cosa direbbe loro? «Mi viene in mente l’immagine del temporale e di un catino che raccoglie l’acqua piovana. Ecco, consiglierei loro di vivere l’anno scolastico come capaci “recipienti”?». Com’è stato il suo ultimo giorno di scuola da bidello? «Ho visto i miei colleghi commuoversi e ho pianto. Io ero anche rappresentante sindacale interno (Liguori è tuttora impegnato nel sindacato, la Cisl, ndr). C’era collegio dei docenti e sono stato chiamato per un saluto anche da parte loro. È stato indimenticabile». Marco Guggiari

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