Grandi barche lariane da sfogliare

Sabato 11 Agosto 2012 C’è forse un involontario segno dei tempi nel nuovo capitolo della storia vissuta dalle genti del Lario scritto da Lucia Sala, appassionata ricercatrice di Bellagio, che dopo i volumi “Tacàa al fooch” e “Soldi sudati”, ha pubblicato ora per Edizioni New Press Cento gondole lariane. Vita e lavoro con le grandi barche nel racconto dei protagonisti (pp.238, Euro 24). Nel difficile momento in cui la crisi fa sentire le sue ricadute anche sulle linee di navigazione lacustre, può essere importante la possibilità, offerta da quest’opera, di uno sguardo di più ampio respiro sul rapporto secolare fra gli uomini delle rive e la grande distesa d’acqua che dalla Valtellina conduce alle porte della pianura. Il libro racconta infatti “il nostro Lario come non è più … quando era elemento di unione tra le sponde e tutto scorreva sull’acqua, quando dopo il mezzogiorno da Sant’Agostino in Como e dal porto di Lecco decine di barche cariche di merci spiegavano le vele e sciamavano verso i paesi del lago.” Questo lago, grande via di transito di persone e beni, rinasce dalle parole vive dei testimoni, ancora una volta ricercati ed ascoltati dall’autrice con la passione di sempre per la sua terra e i suoi personaggi: l’antica sapienza dei navigatori e le storie vissute a bordo della gondole sono rievocate da Mario Barindelli di Loppia e Adalberto Fumagalli di Menaggio, mentre la transumanza tra le sponde opposte, secolare pratica oggi scomparsa, è raccontata in particolare da Giovanni Cadenazzi di Tremezzo. Le vicende delle grandi barche si intrecciano spesso con la grande storia. Gli uomini del lago di Como sono nominati in occasione di una festa con naumachia all’Arena di Milano, alla presenza di Napoleone Bonaparte, nel 1811: si ricorda nell’elenco degli equipaggi quello di Bellagio, guidato da Martino Barindelli. Durante la Prima Guerra Mondiale, quando a sostituire i barcaioli maschi chiamati al fronte furono spesso le donne di casa, due gondole dei Barindelli di Loppia, la Rosina – tuttora esistente – e la Maria, furono requisite per i trasporti bellici, e Lorenzo Barindelli le andò a riprendere a Venezia e a Pavia dopo la guerra, con un rimorchiatore a vapore, navigando lungo le vie d’acqua. Nel secondo dopoguerra, all’epoca dei motoscafi, racconta Mario Barindelli, “con il turismo degli anni ’50 e ’60 ci fu lavoro per tutti”: a bordo delle imbarcazioni bellagine salirono personaggi come Wernher von Braun e i sovrani del Belgio. Ma quella delle antiche barche lariane è soprattutto storia di lavoro quotidiano, di vita sociale, di religiosità, di tradizioni delle genti del lago. I testimoni descrivono in pagine avvincenti, piene di riferimenti concreti e dense di personaggi e di emozioni, i viaggi che conducevano ai mercati di Como e di Lecco, con le relative ordinazioni e gli scambi di merci, ma anche gli accorgimenti tecnici per salpare dai singoli porti seguendo la conformazione delle rive, cogliere al volo il soffio del Tivano o della Breva, prendere la rotta giusta e mantenerla, spinti dalle vele. Non manca la memoria di affondamenti, urti, uragani, alluvioni, in cui le vittime pagarono al lago e alle sue insidie il prezzo di una consuetudine quotidiana di lavoro sull’acqua. Mario Barindelli nomina, paese per paese, molte delle antiche barche, presenze famigliari che accoglievano le persone e le merci solcando infaticabili le acque del lago e portavano i nomi delle persone care, delle donne di casa. Adalberto Fumagalli ricorda l’attività della sua famiglia a Menaggio, cominciata acquistando carbonella, bozzoli di seta, burro e formaggi dai contadini delle valli, per poi venderle in città trasportandole via lago su una gondola. Il servizio si estese al lago di Lugano, utilizzando anche la ferrovia che collegava Menaggio a Porlezza. Le merci trasportate dai Fumagalli erano molteplici: quintali di castagne in autunno, balle di stracci, a mucche, fieno, legna. Dalle città salivano verso i paesi rivieraschi le farine, la pasta, l’aceto e gli altri generi alimentari, la calce viva, la carta. A Menaggio erano ormeggiate anche le gondole dei Pensa, che con due grosse barche servivano anche la ferriera di Dongo, e quella di Berto Selva di Bellano, famoso per il trasporto del ghiaccio dal Lago di Piano ai paesi del centro lago. Giovanni Cadenazzi ricorda invece che in occasione della transumanza, quando i suoi antenati portavano le mucche da Tremezzo sui alpeggi di Lemna e Palanzo, “il suono dei campanacci risuonava per tutto il lago, anche a grandi distanze”. Le mucche attraversavano il lago sulle gondole, insieme a cavalli, asini, maiali, capre. Le imbarcazioni servivano anche in occasione delle numerose fiere degli animali che segnavano i ritmi delle feste e delle stagioni lungo le rive del Lario. Dagli anni’50, la grande via commerciale del lago lasciò gradualmente il posto al trasporto su strada, ma, racconta Adalberto Fumagalli, “gli anziani questo salto non lo accettarono, morirono con le loro barche, con il lavoro sul lago che non c’era più”. A ricordare il tempo in cui sul Lario navigavano “un centinaio tra gondole e comballi, e anche i piroscafi a vapore della Società Lariana erano numerosi”, restano, secondo Mario Barindelli, “le quattro cose più belle che abbiamo oggi sul nostro lago”: il piroscafo Concordia, il suo gemello Patria, le gondole di Loppia, la Rosina e la Giulia, che hanno fatto spesso la loro comparsa in manifestazioni e in pellicole cinematografiche. Giuliana Panzeri