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«Gli investimenti sono limitati e poco invasivi»

Venerdì 03 Agosto 2012 L’opinione dell’esperto di informatica Le antenne che diffondono il segnale sono di ridotte dimensioni. Necessari filtri accurati Per trasformare il lungolago e il centro storico del capoluogo lariano in zone di libera e gratuita navigazione sulla rete gli investimenti necessari non sarebbero elevati dal punto di vista finanziario e nemmeno invasivi da quello strutturale, cioè sul fronte degli impianti e delle apparecchiature necessari per garantire la copertura Wi-fi. «Le antenne che diffondono il segnale sono di ridotte dimensioni, stanno sul palmo di una mano per capirci, e vengono di solito applicate su strutture già esistenti, come per esempio i pali della luce – spiega Mario Meroni, ingegnere aerospaziale e consulente informatico – Il numero di antenne, dette anche “hot spot”, è variabile e dipende da diversi fattori. Innanzitutto è legato all’ampiezza e alle caratteristiche dell’area che si intende coprire: se mi limito a una piazza, sgombra da ostacoli fisici, sono sufficienti poche antenne; se invece voglio estendere il servizio all’intera Città murata, il numero di antenne cresce perché la presenza degli edifici ostacola la diffusione del segnale. In secondo luogo, la disposizione degli hot spot deve anche tener conto della potenza della connessione che voglio offrire agli utenti». Dal punto di vista impiantistico, dunque, gli investimenti possono essere calibrati a seconda del progetto di Wi-fi free che si intende realizzare. A carico dell’amministrazione comunale resterebbe poi ovviamente il canone da pagare al provider che garantisce il servizio di accesso a Internet, anche se sul mercato esistono soluzioni a costo zero, che offrono sostanzialmente connessioni in cambio di pubblicità. «L’ente locale dovrebbe poi decidere come regolamentare gli accessi alla rete – sottolinea Meroni – perché sarebbe ovviamente sconveniente che un cittadino o un turista potesse, per esempio, navigare liberamente, a nome del Comune, in siti pedopornografici o di formazioni politiche che inneggiano al terrorismo. Bisogna allora introdurre opportuni filtri per impedirlo. Si tratta di barriere che si basano sostanzialmente su due logiche. La prima, di più facile gestione perché non richiede aggiornamenti costanti, blocca tutto e dà libero accesso soltanto a un numero limitato e ben identificato di siti, per esempio ai social network, ai canali turistici e culturali, ai media on line, alle società di trasporto pubblico e così via. In tal modo, però, si limitano le possibilità di navigazione offerte agli utenti. Il secondo approccio consente invece di dare libero accesso a tutto eccezion fatta per determinati domini, per esempio di siti pornografici o di propaganda terroristica, o per le pagine web in cui compaiono parole legate a temi ritenuti inopportuni o illegali. Tale approccio offre ovviamente grande libertà di navigazione ed è maggiormente apprezzato dagli utenti, ma prevede una gestione più complicata dei filtri perché richiede la messa a punto di una vera e propria black list di domini o di parole proibite che va poi aggiornata costantemente nel tempo». Spetta poi al Comune decidere in quale misura limitare la durata e l’ampiezza della connessione da parte di ogni singolo utente, per evitare che chi naviga Wi-fi occupi la rete per l’intera giornata o ne blocchi la funzionalità scaricando file di dimensioni eccessive. Esistono sul mercato soluzioni “chiavi in mano”, in alcuni casi a costo zero. «Il Comune – conclude Meroni – potrebbe adottare una delle reti già attive a livello di amministrazioni locali, usufruendo così di pacchetti già pronti e collaudati, al posto di sviluppare una soluzione in proprio. Le proposte sul mercato non mancano, sia istituzionali (come il progetto “Free ItaliaWiFi” promosso da Provincia di Roma, Regione Autonoma della Sardegna e Comune di Venezia e adottato, per esempio, dal vicino Comune di Saronno) sia da parte di società private». Marcello Dubini

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