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Luigi Santucci, quelle estati a Guello con Ravasi

Domenica 29 Luglio 2012 Aragno pubblica l’opera omnia del narratore «Poesie-preghiere; narrazioni come storie, ritratti, fantasie, memorie, riflessioni; teatro in lingua e in vernacolo milanese. E sottesa al tutto, la scelta di lettere? dal 1953 dello scambio con Turoldo al 1997 di quello con Montanelli ? che scandisce la storia del Santucci e scrittore, e uomo…». Così Ermanno Paccagnini presenta gli scritti inediti di Luigi Santucci, recentemente pubblicati da Nino Aragno Editore nel volume I nidi delle cicogne e altri scritti inediti. Si tratta del primo di quattro libri che raccoglieranno l’opera omnia dello scrittore milanese e lariano di adozione – ricordato per capolavori di narrativa quali Lo zio prete, Orfeo in paradiso e Il Velocifero – scomparso nel 1999. Nella Premessa alle “Opere” di Luigi Santucci, è Gianfranco Ravasi, cardinale e ministro della Cultura di papa Benedetto XVI, celebre studioso della Bibbia e saggista, amico personale di Santucci, a rilevare il «sofferto tormento» e il «rigoroso esercizio della mente e del cuore» con cui quest’ultimo affrontava temi «ardui, angosciosi, impervi» pervenendo a una «nitidezza di scrittura» che rendeva «aperti i significati e i messaggi». A testimonianza di ciò, il noto biblista ricorda, tra i momenti significativi di amicizia e di fecondo scambio intellettuale ed umano, le comuni vacanze estive, che per molti anni videro Gianfranco Ravasi e Luigi Santucci vicini di casa in terra lariana, a Guello di Bellagio. «Io ne ero testimone durante le molte vacanze estive che ci vedevano quasi appaiati non solo per residenza ma anche per scrittura». A Guello le rispettive case erano separate solo da una siepe, quotidianamente valicata per dare il via a lunghe ore di conversazione, ed è dalla località lariana che risultano datate alcune lettere pubblicate nel libro, ad esempio quella a Italo Calvino del 27 luglio 1958. Gli scritti inediti pubblicati nel libro, sottolinea Paccagnini, attestano in Santucci «una disposizione al racconto mai ripiegata su se stessa» in cui si sente l’eco di una «mitologia sugli aspetti gioiosi della vita e del Cristianesimo» e di una «curiosa oscillazione fra narrativa e saggistica» che diventerà una costante di molta sua letteratura. Tale profilo è rispecchiato anche dallo scambio di lettere con Italo Calvino, documentato nella sezione epistolare del libro. Santucci attribuisce all’autore di Il barone rampante il merito di essere «uscito dal cerchio chiuso del neorealismo per la tangente della favola, della cultura e dell’umorismo aristocratico», ricevendo in risposta la conferma di una «affinità di scelta stilistica e di gusto, al di là di tutte le divergenze di contenuto». La corrispondenza con Italo Calvino svela anche il profondo interrogarsi dello scrittore milanese intorno alla sorte della narrativa ed alla «possibilità di ascolto» dei lettori in un’epoca «che si configura paradossalmente come il boom e insieme la morte del libro (?) nella scempia guerra che i mass media fanno alla parola scritta, a quanto non sia immagine». Giuliana Panzeri

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