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Da Plinio il Vecchio a Carlo Ferrario, Il Lario patria dell’aforisma

Mercoledì 25 Luglio 2012 La fabbrica degli aforismi Per Alessandro Tassoni, autore de La secchia rapita, il comasco Plinio il Vecchio era fonte di citazioni e riflessioni, al pari di Platone, Aristotele e Plutarco: nei suoi Pensieri diversi, l’autore modenese trae spesso spunto dalla Naturalis historia, la celebre enciclopedia scientifica dell’erudito lariano morto durante l’eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei, e di cui ha di recente tessuto le lodi lo scrittore sardo Gavino Ledda in una recente conferenza al liceo Volta di Como. In uno dei suoi Pensieri diversi, trattando il tema «Perché l’uomo si vergogni di esercitare e scoprire le parti genitali in presenza di altri», Tassoni tira in ballo il letterato comasco quando tratta nella sua monumentale opera in latino «degli affogati nell’acqua». Scrive Plinio: «I cadaveri degli uomini galleggiano supini, quelli delle donne proni, come se la natura avesse riguardo al pudore delle defunte». Va tanto indietro nel tempo, appunto fino all’erudito lariano del I secolo dopo Cristo, l’antologia Scrittori lariani di aforismi a cura di Gino Ruozzi pubblicata nel 1994 nei “Meridiani” di Mondadori e più volte ristampata. Due volumi densi e fondamentali, che permettono di dire che Como è tra le patrie italiane dell’aforisma. Il genere letterario che forse più si attaglia ai lariani, abituati non ai grandi sistemi e al fare squadra, ma a un ben spiccato individualismo. Comasco è lo stesso prefatore del Meridiano, il massimo narratore lariano del XX secolo, Giuseppe Pontiggia, che s’interroga proprio sulla natura del “pensare breve”, cioè per scorci e per frammenti che sono, parole sue, l’autentica «medicina dell’uomo» dispensata dalla letteratura. «Un aiuto che un uomo offre a un altro uomo, una guida per evitare l’errore o porvi rimedio, il conforto che l’esperienza può dare a chi deve ancora affrontarla». Un altro lariano radunato da Ruozzi è Giambattista Giovio, cultore di «sali e sarcasmi di corte e di salotto» tra moda, cibo, lusso e politica. Che scriveva: «La prova per me evidente che i filosofi sono insoffribili, è che si credono essi la filosofia», scrive il contino lariano. E ancora: «Non è difficile trovar donne pudiche, ma è quasi impossibile trovarle che desiderino esser gli uomini tali». Un salto in avanti ed eccoci, con l’antologia di Ruozzi, al cospetto di una vetta assoluta dell’aforisma, un genio moderno purtroppo ancora ignoto ai più, il diplomatico e scrittore lariano Carlo Dossi. Le sue Note azzurre meritoriamente ristampate in edizione economica da Adelphi sono uno zibaldone e anche il suo diario più intimo, una selva di 5.794 frammenti dove abbondano gli autoritratti, la pungente ironia spesso misogina («Il cane è la bestia che io, dopo la donna, preferisco»), la metafisica e la politica. E anche la definizione di aforisma: «Una volta si scrivevano libri, oggi frammenti di libri. Mangiata la pagnotta non restano che le briciole». Non poteva mancare nel secondo volume del Ruozzi sul ’900 anche un canturino illustre autore di aforismi che fu pure pittore (destino comune anche a Longanesi, Maccari e Melotti) e cioè Ugo Bernasconi (in alto, un suo disegno dedicato al paesaggio di Como con i suoi simboli architettonici, la cattedrale e il Baradello). Ai pensieri in forma letteraria («Per non rinchiudersi nella “torre d’avorio”, tali salgono sul palco del ciarlatano») lavorò con tenacia ma senza riconoscimenti per mezzo secolo. Un altro comasco? Massimo Bontempelli, erede nell’arte dell’aforisma di Nietzsche e Leopardi col suo ideario Il Bianco e il Nero («Lo scrittore deve scrivere per vivere; soltanto così riuscirà forse a sopravvivere. È il più perfetto connubio tra passione e necessità»). Doveroso citare a questo punto un’altra storica antologia, che va tenuta sullo scaffale accanto ai due Meridiani di Ruozzi per uno sguardo cosmopolita che abbracci anche autori immensi di altri lidi come la Francia (da non mancare pensatori come Blaise Pascal ed Émile Cioran). L’autore è Federico Roncoroni, curatore di antologie scolastiche e grammatiche fondamentali, che ha pubblicato ormai decine di migliaia di ristampe della sua preziosa raccolta Il libro degli aforismi negli Oscar Mondadori, volume che ha valicato la boa dei vent’anni di successi, e fu seguito pochi anni dopo la prima edizione da La saggezza degli antichi per pescare da greci e latini. Cosa è dunque per Roncoroni (egli pure conquistato da autori come Bernasconi e Dossi) l’aforisma? «Un perfetto meccanismo espressivo che, in equilibro tra eleganza e sostanza di pensiero, a metà strada tra il gioco di parole e la massima filosofica, aspira a divertire e a far riflettere». Definizione perfetta. Tra i tanti eredi di Karl Kraus italici, il critico lariano enumera giustamente anche Ennio Flaiano e Guido Ceronetti, i cui archivi sono peraltro custoditi a poca distanza da Como, alla Biblioteca Cantonale di Lugano. Del torinese Ceronetti è uscita da Adelphi una nuova raccolta di 343 pensieri, Insetti senza frontiere, con massime e pagine di diario spesso definitive come colpi di sciabola (come questa, sulla fine del mondo che la profezia Maya vuole imminente: «La Terra non rimpiangerà l’uomo, né l’Uomo la terra. Una coppia troppo litigiosa, che con le sue urla disturbava gli astri vicini»). Ma rimaniamo in area comasca con due esempi recenti della fertilità lariana nell’aforisma. Donato Di Poce, che è anche buon poeta e critico d’arte, ha da sempre la passione per il genere della forma breve. Pubblica alcuni aforismi da Lietocolle di Parè. Sono esercizi di leggerezza, come li definisce, «Arcobaleni di luce / che illuminano l cielo con un sorriso», e lampi di verità quelli intitolati Nuvole d’inchiostro. Per Donato «i silenzi sono i beni culturali dell’anima». Nel libretto si leggono concentrati di verità, ma anche considerazioni caustiche («L’intellettuale senza anima è solo un cretino che pensa») che spesso prendono di mira le pose spocchiose di chi la sa troppo lunga: «Un aforisma al giorno leva i filosofi di torno». L’allegro e il pensieroso è infine la monumentale raccolta di 3.068 pensieri edita da Nodo di Como che consegna all’Olimpo dell’aforisma lo scrittore e musicista lariano Carlo Ferrario. In otto sezioni, l’autore dimostra ancora una volta una sterminata erudizione, tra provocazioni e invettive, citazioni e battute, il lazzo e l’arguzia («Stranezze cinofile: dalla canicola al freddo cane»). Ferrario prende di mira il linguaggio, l’eros, la politica, i giornalisti, i perbenisti, nella consapevolezza che «scrivere aforismi è come ricavare una sola tazza di consommé da cinque chili di carne scelta, sapendo che ci sarà sempre qualcuno pronto a chiedere quale marca di dado si è usata». E che, allo stesso tempo, per fortuna dei lettori, se ci saranno, «quantunque diffamati da secoli di cattiva poesia, l’alba, il tramonto, le foreste, l’amore, la solitudine ci sono ancora?».

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