Città d’arte solo sulla carta

Domenica 01 Luglio 2012 Como turistica allo sbando La colonnina di mercurio supera i 35 gradi. Ci infiliamo in macchina, e complice l’aria condizionata ci mettiamo nelle condizioni del turista “fai da te” che voglia scoprire le magnifiche sorti di questa città che in tanti gli hanno decantato per le sue bellezze artistiche: Como. Facciamo finta che usciti dall’autostrada A9, nel ginepraio di svincoli dell’uscita Sud, qualche cartello o magari una diavoleria elettronica abbia avvisato che il capoluogo ci attende a braccia aperte con l’ultimo duomo gotico edificato in Italia, una cittadella razionalista unica al mondo sul lungolago, un monumento celebre fino in Giappone come la Casa del Fascio dell’architetto del ’900 Giuseppe Terragni. Arriviamo speranzosi a piazzale Camerlata: ecco un’ardita struttura di cemento armato e pietra, al centro, a fare da spartitraffico. È un po’ malconcia, ma siamo in piena recessione, si sa. Peccato che l’unico cartello disponibile sia la piastra metallica sulla bordura: troppo anche per chi ha l’ultravista da supereroe. Rimaniamo dell’idea che, con quei cerchi e quelle sfere, sia un omaggio ai tanti turisti inglesi ospiti sul Lario e alle imminenti Olimpiadi di Londra. Perbacco, complimenti ai comaschi, quanto spendono per la promozione dei Giochi! Peccato: sapremo poi, consultando Internet, che è l’anno del centenario della nascita di uno dei due artefici del monumento, l’architetto razionalista Cesare Cattaneo (l’altro è l’astrattista Mario Radice). E ci diciamo che almeno per il centenario si poteva fare qualcosa di più, per evitare la “buccia di banana” culturale. In piazzale Camerlata siamo anche arrivati chiedendo cosa sia mai quella torre che vigila dall’alto: la mappa dell’iPhone dice Baradello. Ma nella vietta chiamata Santa Brigida che abbiamo fortunosamente raggiunto a piedi dopo aver parcheggiato con le 4 frecce accese sotto la canicola, le indicazioni invitano solo a visitare il Parco Spina Verde. Di cui il Baradello è granitico baluardo. Ma lo si sa, anche in tal caso, solo a posteriori. Scesi in convalle, eccoci in fondo alla Napoleona, in piazza San Rocco. Un trittico di cartelli qui invita finalmente alla scoperta del Baradello e della basilica di San Carpoforo che sorge appena sotto. Armeggiando su Google ci è giunta voce che nei pressi della piazza sorge, ma è proprietà privata, un antico “ospitaliere” che versa, stando a quel che si vede, in pessime condizioni. È l’ex chiesa di San Lazzaro, ricca di affreschi e di storia. Sembra un pezzo di Emilia post terremoto. E nessun cartello che indichi il citato rudere. San Carpoforo ha destino migliore: secondo gli studiosi fu la prima basilica della Diocesi di Como, e la sua prima cattedrale. Ma non le rende merito il cartello arrugginito e spiegazzato che la indica ai viandanti in modo peraltro un po’ approssimativo e che ha visto giorni migliori. Consola, ma neanche poi tanto, immaginare che sia un’installazione moderna. Genere arte povera. Andiamo oltre. Si stagliano sullo sfondo i campanili gemelli di un altro gioiello romanico, la basilica di Sant’Abbondio. Il cartello indicatore ci devia in via Italia Libera, perché il navigatore satellitare fa presente che è percorso obbligato. Ma all’incrocio tra la suddetta strada e via Gramsci manca l’indicazione di svolta a sinistra per indirizzarsi verso il monumento. Ooops. Proseguiamo quindi diritto, lungo il cosiddetto “girone”. Toh, ecco un paio di antiche torri a presidiare le mura. Anche qui mancano cartelli. Si arriva all’incrocio con viale Lecco. Un paio di cartelli marroni indica che poco più avanti Duomo, Broletto e Casa del Fascio raccontano due epoche molto distanti nella storia, che magicamente dialogano in una sola area urbana. Ci si è dimenticati però di indicare ai turisti e ai comaschi che non praticano l’archeologia che in viale Lecco ci sono anche le antiche terme romane. Giustamente il nuovo autosilo del Valduce, sulle quali sorge, le segnala in facciata in modo evidente. Ma è uno dei tanti casi, scopriremo poi, di tesori comaschi in cui è necessario sbattere il grugno (per poi scoprire che ogni singolo monumento ha la sua brava targhetta, ma devi scoprirla), o che vanno studiati preventivamente. Città turistica? Affiorano i primi sospetti che la realtà sia un po’ meno poetica delle speranze. Proseguiamo lungo il percorso: ci avevano detto che una stele metallica segnala, dal centenario dell’architetto razionalista Giuseppe Terragni in poi (2004), la Casa del Fascio. Nell’assolatissima piazza del Popolo non se ne ha traccia. Andiamo avanti e dopo un’altra fetta di “girone” con il lago pressoché invisibile causa cantiere paratie eccoci all’altro polo razionalista, la “cittadella” a lago fra Tempio Voltiano e Aero Club. Solo il Monumento ai Caduti è menzionato dai cartelli, mentre tesori di Terragni come il Novocomum e Casa Giuliani Frigerio, e le glorie sportive, la Canottieri (con l’iscrizione sulla facciata “Parant fortia pectora remi”) e lo Yacht Club, non sono menzionati. Poi, capatina a Villa Olmo, dopo aver constatato che anche la chiesa di San Giorgio in Borgovico non è segnalata e i cartelli che indicano la storica dimora sono un po’ in ombra nella vegetazione. Torniamo nel “girone”: la guida cartacea ci dice che la città è dotata di Pinacoteca. Ma non ci pare lo ricordi un cartello turistico. E non c’è segnalazione di altri tesori come l’Istituto Carducci e il Teatro novecentesco Politeama. Scendiamo. L’urto del caldo fa riaffiorare reminiscenze scolastiche: Sant’Abbondio è citata anche dal mitico manuale liceale di storia dell’arte di Giulio Carlo Argan, che quando venne a Como nel 1966, parlando dell’architettura del ’900, spronò così i lariani: «Bisogna che i rari documenti di questa situazione dell’architettura italiana dei primi del secolo siano conservati e siano quanto più possibile conosciuti». Campa cavallo, in questa città così sporadica, scriteriata e approssimativa nel rendere conto delle proprie bellezze. Lorenzo Morandotti