A Como si consumano ogni giorno oltre 4mila dosi di stupefacenti

Martedì 26 Giugno 2012 Don Aldo Fortunato: «Attenti, il problema riguarda tutti» «D’accordo, ci vediamo in comunità». Oggi è la Giornata Mondiale della Lotta alla Droga e chi meglio di lui, don Aldo Fortunato, è il simbolo vivente nel Comasco di questa sfida impari? L’appuntamento è in tarda mattinata in quel luogo di lavoro e di recupero che è “L’Arca”, nel verde del San Martino, ingresso dalla statale per Lecco, prima della Cappelletta. Don Aldo arriva con la freschezza di un ragazzo, incurante dei suoi 83 anni che compirà tra due giorni. Il “World Drug Day” è stato voluto dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1987. Ma di tossicodipendenza si parla poco. «Ormai fa parte del paesaggio», sorride rassegnato il fondatore dell’Arca, accompagnato da due collaboratori. La storia personale di quest’uomo è straordinaria: la sua buona battaglia iniziò il 5 febbraio 1975 sulla porta della canonica di Muggiò, il quartiere cittadino tra Camerlata e Albate di cui è stato il primo parroco. «Ma questo non interessa a nessuno – dice un po’ infastidito – Vabbè, due righe però, non di più. Bussò un ragazzo, un tossico, forse attirato dal fatto che qualche mese prima avevo organizzato un incontro in chiesa con don Luigi Ciotti. Lui era uno dei tanti giovani presenti a quella serata?». Passo dopo passo nacque “L’Arca”, dove si tenta di riportare alla dimensione vera della vita tanti che dipendono dalla droga e anche dall’alcol. Don Aldo, a quanto sembra gli anni passano, ma lei non tira i remi in barca? «Eh, me li faranno tirare? E pensare che quando abbiamo iniziato nessuno credeva alla necessità di questa iniziativa, né l’ambiente civile, né quello religioso. Dicevano che la droga non c’era più?». Che cosa fa fare il salto nella tossicodipendenza? «Generalmente, aver toccato il fondo. Il tossico è disperato, incarica la droga di risolvere i suoi problemi esistenziali. E la stessa cosa avviene quando si sceglie la strada dei farmaci sostitutivi, come il metadone. È una via ben diversa da quella della comunità. Eppure, nel 2010, il Sert di Como (il servizio tossicodipendenze dell’Asl, ndr.) ha refertato 2mila persone, mentre tutte le comunità della Lombardia ne possono ospitare soltanto 1.200. Veda lei la proporzione?». Come sono attualmente la situazione italiana e comasca? «A livello nazionale i dati, aggiornati al 18 giugno di quest’anno, sono eloquenti. Sono state sequestrate 7 tonnellate di droghe leggere, 9 di droghe pesanti, 5,5 milioni di droghe sintetiche in pasticche, 8mila piante di cannabis? E si valuta che quanto viene individuato è il 5-10% di ciò che in realtà c’è in giro. Nella sola città di Como, dalle indagini dell’Asl sugli scarichi fognari emerge che il consumo giornaliero di droga è pari a 3.315 dosi di hashish, 423 di eroina, 441 di cocaina? E questo, senza considerare gli psicofarmaci». Quali sono le tappe essenziali per il recupero? «Prima di tutto la motivazione: quando il drogato si accorge che da solo non ce la fa ed è disponibile a farsi aiutare. È fondamentale rendersi conto che è necessario prendere in mano la propria vita. Per fare questo lavoro, in comunità si impiega almeno un anno e mezzo. Spesso, alle spalle dei ragazzi ci sono famiglie sfasciate, oppure anni di galera? La droga ha un denominatore comune – tutti ne sono dipendenti – ma un numeratore individuale: occorre sempre personalizzare l’intervento. Il nostro programma medio è di due anni e mezzo. In comunità si lavora per recuperare la giovinezza perduta, la famiglia? Poi viene il grosso problema del reinserimento. Parliamoci chiaro: non illudiamoci di risolvere questo problema perché nessuno ha la bacchetta magica. A livello personale ogni drogato è recuperabile, ma a livello sociale no». Il 26 giugno è la Giornata Mondiale di Lotta alla Droga, ma negli ultimi tempi non si parla più di questo problema. «Per forza, i drogati non si vedono più in giro come avveniva invece negli anni ’70 sotto il Broletto. Non ci si accorge più di loro. Poi, nell’accezione comune il tossico è brutto, sporco e cattivo e non merita attenzione. Aggiungiamo una difficoltà a livello sociale: in una società come la nostra l’uso della sostanza è fisiologico. Ci pensi. Nella crisi, l’eroina porta fuori dalla realtà; nell’ambito competitivo, la cocaina aiuta. Tutte le droghe danno l’illusione di avere una personalità di cui non si dispone. Da ultimo, il nostro sistema educativo è troppo tollerante. I ragazzi di oggi sono i figli dei figli dei sessantottini, sono quelli per i quali il padre è fratello è questo non va bene». Se lei oggi potesse fare un appello, su cosa richiamerebbe l’attenzione? «Potrei dirlo con uno slogan: “Sappiate che la droga vi riguarda tutti”. Il 10% dei professionisti fa uso di sostanze. Il problema meriterebbe un po’ di attenzione in più. E speriamo che la Regione Lombardia continui a finanziare comunità di recupero, Sert e operatori di strada, aiutando le famiglie in base al loro reddito. In caso contrario, resteranno soltanto le comunità per i ricchi». Marco Guggiari