Dieci anni fa l’aereoplano contro il Pirellone. Il ricordo del comasco sfiorato dalla tragedia

Martedì 17 Aprile 2012 Dieci anni fa lo schianto. Ezio Munno aveva appena lasciato quegli uffici Ezio Munno è un sopravvissuto. Nel senso che, come nel film “Sliding Doors”, il suo destino è cambiato grazie al fatto di essere uscito dalle porte del Pirellone pochi minuti prima che un aereo da turismo si infilasse dritto al 26° piano del grattacielo sede della Regione. Munno abita a Loveno, graziosa frazione di Menaggio, in una bella casa arredata con gusto. «Sono un terrone mitteleuropeo», dice sorridendo. La sua vita è stata un alternarsi di dolore e letizia. Nato in Istria, quando aveva appena sette giorni, l’8 settembre 1943, suo padre – carabiniere originario del Sud – fu catturato dai tedeschi a Cettigne, ex capitale del Montenegro. Dopo una lunga marcia a piedi fino a Budapest, in Ungheria, venne chiuso in un carro bestiame e spedito in un campo di concentramento al confine tra Polonia e Germania, da dove tornò libero soltanto il 1° maggio 1945. La famiglia istriana della mamma, invece, era proprietaria di una catena di alberghi, tutti persi a causa della guerra. Munno approdò sul Lago di Como dopo un lungo peregrinare con i genitori a tutte le latitudini d’Italia. Laureato in Lettere e Filosofia, dopo aver fatto l’insegnante, nel 1972 è entrato da funzionario negli uffici della neonata Regione, assessorato alla Pubblica Istruzione, e vi è rimasto come dirigente per trent’anni, spaziando dal primo presidente, Piero Bassetti, fino all’attuale, Roberto Formigoni. Il motivo della nostra chiacchierata è legato alla ricorrenza del tragico incidente di dieci anni fa: 18 aprile 2002. Quel giorno, un giovedì, un velivolo monomotore decollato da Locarno, in Svizzera, si schiantò alle 17.47 contro il palazzo della Lombardia. In quel devastante impatto morirono Annamaria Rapetti e Alessandra Santonocito, due avvocati della Regione, oltre al pilota dell’aereo Luigi Fasulo, detto “Gino”, italiano ma residente a Pregassona, vicino a Lugano. Quella drammatica circostanza ha più di un risvolto comasco. Non solo perché l’allora comandante provinciale dei vigili del fuoco di Como, Antonio Monaco, coordinò le operazioni di soccorso in assenza del suo omologo di Milano, ma anche per la vicenda del pilota. Fasulo, 67 anni, proprio quel giorno aveva presentato denuncia alla squadra mobile di Como, sentendosi truffato in una storia di cambiali, assegni e di crediti ormai inesigibili. Era stato raggirato da un’organizzazione con agganci internazionali in una vicenda per la quale poi, nel novembre 2003, finiranno in carcere nove persone. Quel giorno, alle 13, Fasulo andò in Questura assieme al figlio. Uscì dagli uffici di viale Roosevelt alle 14.15. Poche ore dopo avvenne la disgrazia, che inizialmente – date le circostanze – parve un suicidio. L’inchiesta escluse poi quell’ipotesi. Giunto a Linate, il pilota segnalò problemi al carrello. La torre di controllo gli ordinò di restare in orbita sul piazzale, ma lui riprese il volo, sorvolò il centro di Milano, scese a 127 metri, e poi finì contro il Pirellone. «Io ero in pensione da qualche settimana – spiega oggi Ezio Munno nel salotto di casa sua – ma ero stato invitato a una riunione per passare definitivamente le consegne». Ignaro della piega che avrebbero preso gli eventi, passò a salutare i suoi ex colleghi dell’ufficio legale, proprio al 26° piano. Ecco il suo racconto. «Meno di un’ora prima del disastro ero lì con loro. Lasciai gli uffici del Pirellone assieme a un collega. Ci spostammo nel palazzo Siemens, sede del consiglio regionale, a duecento metri di distanza». Il resto è una terribile accelerazione di eventi. «Di lì a poco sentimmo un terribile botto. Vedemmo fumo, fuoco e vetri infranti che cadevano in strada. Ci avvicinammo con cautela e scorsi un ex collega a terra, ferito da schegge di vetro. Cercai di soccorrerlo. Subito arrivarono ambulanze, vigili del fuoco, forze dell’ordine? Era tutto molto impressionante». Ezio Munno si premurò di avvisare i suoi familiari di essere incolume. Per non più di venti minuti era rimasto fuori da quell’inferno. Inevitabile chiedergli se non si fosse sentito in qualche modo risparmiato, miracolato. «Sì, dopo aver visto da casa in tivù cos’era esattamente successo, ho pensato che qualcuno doveva avermi detto: “Esci fuori da questo palazzo?” Ho ringraziato Dio». In quella drammatica giornata, sulle prime, tutti temettero un attentato simile a quello delle Torri Gemelle di New York, avvenuto appena sette mesi prima. «In un primo momento si aggiunse l’angoscia di un possibile attacco terroristico – conferma l’ex dirigente – fortunatamente poi escluso dalla ricostruzione dei fatti». Marco Guggiari