L’illustratore comasco diviso a metà tra il Lario e la capitale di Taiwan

L’illustratore comasco diviso a metà tra il Lario e la capitale di Taiwan

Martedì 10 Aprile 2012 Stefano Misesti: «Andare all’estero significa capire bene le proprie possibilità» Una vita divisa tra il Lario e Taiwan. Il tratto magico di Stefano Misesti, 46 anni, comasco, scivola per sei mesi all’anno nello studio di Como e per altrettanti in quello di Taipei, la capitale di Taiwan. Le sue creazioni grafiche, le sue storie per piccoli e grandi, l’arcobaleno dei suoi colori spaziano da un capo all’altro del mondo. In principio fu una striscia, che Misesti disegnava per il “Corriere della Provincia”, settimanale comasco del lunedì. In parallelo vennero la frequenza all’Istituto Europeo di Design di Milano, il diploma di illustratore e, dal 1995, uno studio con altri due professionisti proprio nel capoluogo lombardo. Oggi Stefano collabora con alcuni quotidiani, espone i suoi lavori (una sua mostra di illustrazioni, alla scuola “IV Novembre” di Mariano Comense, è aperta fino al prossimo 24 aprile), crea libri per ragazzi: con “Visto si stampi”, un bellissimo volume che insegna come si fa un giornale, ha vinto il prestigioso “Premio Anderson” nella categoria “Divulgazione”. Come si definisce: illustratore, fumettista…? «Principalmente illustratore, anche se mi piace molto dar vita ai fumetti. Il cuore della mia attività è certamente l’illustrazione per i ragazzi». Come arriva Taiwan nella sua vita? «Mia moglie, Beni, è taiwanese. Anche lei è illustratrice e l’ho conosciuta in occasione di un laboratorio tenuto in Trentino-Alto Adige. Nel 2005 mi sono trasferito a Taipei e la cosa curiosa è che lì ho ritrovato amici taiwanesi che avevo conosciuto a Milano». Come descriverebbe le sue illustrazioni? «Hanno sempre una base umoristica, anche se non si tratta di vignette prettamente satiriche. Mi piace il segno di contorno con il nero, ma per il resto uso molto i colori. All’inizio utilizzavo quelli ad acqua, adesso traccio il segno a mano e poi coloro a computer. Mi piace la contaminazione delle due tecniche. Anche i miei fumetti sono umoristici e surreali». Come riesce a conciliare le due sedi di lavoro? «Internet aiuta molto. Nei primi anni della mia attività era indispensabile essere presente presso i vari clienti e mostrare il mio portfolio. Adesso è ininfluente dove io mi trovi, a parte gli impegni per le mostre. Tutto avviene via posta elettronica. E poiché a Taipei si è in anticipo di sette ore, lavorando per l’Italia guadagno tempo e non mi stresso… Con me, per ogni evenienza, porto sempre l’archivio in un hard disk». Che cosa sorprende di più un comasco come lei che approda in Estremo Oriente? «Beh, ci si rende conto che l’Italia è solo una piccola parte del mondo. Noi siamo molto provinciali. L’aspetto più affascinante dell’Oriente è che ci si relaziona con persone che hanno visioni della vita completamente diverse dalla nostra. Penso al cibo, al lavoro… Si è incentivati ad apprendere altri linguaggi». Allude all’idioma? «Non solo. Collaborando a una rivista di economia ho imparato che non devo usare il colore verde in copertina, perché è considerato negativo. Meglio il rosso… Ci si rende conto dell’uso differente dell’immagine: a Taiwan sono molto più avanti di noi anche dal punto di vista tecnologico. Basti dire che a Taipei il wireless per le connessioni via Internet è ovunque, anche nella metropolitana». Si è abituato in fretta a usi e costumi diversi? «Dipende dai casi. A me piace molto la cucina orientale, anche se mi mancano salumi e formaggi che là non esistono, ma ci sono molti ristoranti italiani. Quanto al costo della vita, a Taipei è la metà rispetto al nostro. La guida è forse la cosa più difficile, almeno inizialmente, perché il traffico è molto caotico. Per non dire della lingua: l’inglese non si parla ovunque e spesso subentrano gli ideogrammi cinesi, soprattutto se ci si sposta all’interno o se si esce dalle grandi città». Consiglierebbe questa esperienza ai giovani comaschi? «Sì, il problema è solo iniziale e coincide con la paura di cambiare. Io mi sono trovato bene, ma non per tutti è così. Credo comunque che andare all’estero sia un’occasione per capire bene quali siano le proprie possibilità. Si viene a contatto con gente di tutto il mondo. È straordinario confrontarsi e comprendere punti di vista differenti. A un giovane comasco direi: “Se va male, hai fatto un’esperienza”. Si impara una lingua e ci si arrangia a sopravvivere». Marco Guggiari