Romano Pozzana: memoria storica in livrea

Martedì 27 Marzo 2012 Romano Pozzana – Custode del Teatro Sociale Il Teatro Sociale è la sua vera casa. Ne conosce ogni angolo meglio di chiunque altro. Per scovarlo, in occasione della chiacchierata che segue, bisogna entrare in platea e chiamarlo a voce alta – “Romano!” – finché da un retropalco arriva la sua risposta. Romano Pozzana, classe 1930, è un’istituzione del maggiore teatro cittadino. Da quarant’anni tondi ne calca palchi, gallerie, camerini, corridoi, e ogni altro anfratto. Prima ha tirato il sipario in veste di valletto, poi ha battuto e presidiato ogni metro come “maschera” all’insegna di un’ineccepibile professionalità. Infine ne è diventato custode responsabile. Chi potrebbe più degnamente celebrare la cinquantesima “Giornata mondiale del Teatro” che proprio oggi richiama il pubblico su questa forma di espressione artistica? Veneziano d’origine, con ascendenze mitteleuropee – una nonna era austriaca – approdato a Como 18enne, ha trovato impiego come magazziniere in un’azienda. «Ma di sera – precisa subito – venivo sempre qui». Diceva il grande Eduardo De Filippo “che nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita”. Romano Pozzana lo sa bene perché ha conoscenza diretta di tanti attori e di alcuni è anche diventato amico. La lista di quelli che ha incontrato è lunga: dal tenore Tito Schippa alle attrici Anna Magnani e Franca Valeri, dalla ballerina Carla Fracci al cantante e attore Massimo Ranieri. Com’è nata la sua passione per il teatro? «Quando avevo cinque anni mio padre, che era un macchinista della Fenice di Venezia, mi ha portato con sé. La prima rappresentazione di cui ho memoria è il “Rigoletto” di Verdi. E pensare che un tempo nei teatri non c’erano luci e panchine. Si seguiva la lirica in piedi». A parte ciò, com’è cambiato il teatro in tutti questi anni? «Molto. Anche nella preparazione del palcoscenico. Una volta le scenografie erano tutte di legno. Adesso si lavora con i fondali. Anche la claque aveva un’importanza diversa. Poteva risultare decisiva in determinate situazioni». Che differenza c’è, generalmente, tra vecchi e nuovi attori? «Negli attori di un tempo si riconosceva un sacro furore; avevano il teatro nel sangue. Adesso ci sono giovani promettenti». Cosa deve dare una rappresentazione teatrale perché si possa dire che ha centrato il suo obiettivo? «Deve trasmettere emozioni e sentimenti. Per fare un esempio, penso a una “Tosca” stupenda, andata in scena qui al Sociale sei anni fa. È l’opera lirica che prediligo, assieme al “Rigoletto”». Come sono gli attori prima che si apra il sipario? «Alcuni sono molto tesi, specialmente i più giovani. Certi altri sono tranquilli. In generale, gli attori con più anni sulle spalle non lasciano trasparire emozioni». Sono superstiziosi? «Oh, sì, eccome. Alcuni di loro si portano i cornetti scaccia guai?». Racconti qualche aneddoto che riguarda attori venuti qui sul palcoscenico del Sociale. «Eh, ne ho accompagnati tanti nei camerini. Il soprano Katia Ricciarelli è una donna squisita e rispettosa. Mi ordinava il tè. Ne beveva litri. L’attore Paolo Rossi, tifoso dell’Inter, si è esibito proprio la sera in cui la sua squadra del cuore disputava una partita di Champions League. Mi ha detto: “Tu ogni tanto ti affacci dietro il sipario e mi fai dei segnali per indicarmi cosa succede?”. A Renzo Montagnani piacevano tanto le donne. Io gli chiedevo come andava e lui, tutto stizzito, mi rispondeva che non era il momento per parlarne?». Qual è l’attore di prosa a cui lei è più legato? «Beh, forse Ernesto Calindri. È stato un mio grande amico. Arrivava, entrava in platea e batteva le mani per verificare l’acustica, che al Teatro Sociale è ottima. Faccio un salto di generazioni e giungo al cantautore Davide Van De Sfroos. Anche lui è un amico. L’ho accompagnato io per la prima volta nel camerino. Gli si spaccava il cuore per la gioia di esibirsi nel teatro della sua città. Anche i Legnanesi sono amici miei?». Signor Romano, com’è la sua giornata al Sociale? «Ah, c’è molto da lavorare. Preparo i palchi e i retropalchi. Io faccio tutto con passione. Inizio alle 7.30 del mattino e me ne vado anche alle 2 o alle 3 di notte. Mia moglie è una santa donna?». Dica la verità, non potrebbe fare a meno di questa vita. «Non vedo l’ora che venga l’anno prossimo per la grande festa che ci sarà per celebrare i 200 anni del Teatro Sociale. Così almeno mi dicono. Qui mi trovo bene. Io non ho mai avuto screzi con nessuno. I palchettisti sono bravissimi. Mi dicono: “Stai qui più che puoi. Mi chiamano “pilastro del teatro”, ma non so se è vero”».