«Nonno e mamma lavorarono per Margherita Sarfatti»

«Nonno e mamma lavorarono per Margherita Sarfatti»

Lui fu custode al “Soldo”. Lei aiutava in cucina. I ricordi dei fratelli Turconi È un colle davvero lieto, baciato dal sole, quello dove abitano e mi accolgono i fratelli Bruno, Nella e Adriana Turconi. Tre case, una vicina all’altra, in mezzo a prati superstiti dai quali la vista spazia sul paese e sulla più vasta piana sottostante. Raccontano di Margherita Sarfatti, morta nel sonno il 30 ottobre di cinquant’anni fa nella sua villa, “Il Soldo”, rifugio sicuro e luogo a lei più caro, proprio qui a Cavallasca. Vi trascorreva sempre le vacanze, da luglio a ottobre. Per Margherita, Benito Mussolini, duce del fascismo e suo amante per una ventina d’anni, cambiò nome anche al comune, che ribattezzò Lieto Colle. Pietro, il nonno dei tre fratelli, fu custode al “Soldo”; la mamma, Maria, lavorò nella cucina di Margherita Sarfatti. I ricordi, tramandati e diretti, sono tanti. Bruno, 78 anni, è il più giovane dei tre e accetta di essere fotografato. Adriana è depositaria di tante memorie della mamma con la quale ha vissuto per quarant’anni. Chiacchieriamo e ne nasce l’intervista che segue, inevitabilmente a più voci: uno spaccato d’altri tempi, di personaggi importanti e di persone umili al loro servizio. C’è l’accoglienza della neopadrona di casa al custode; c’è la bellezza del “Soldo”; ci sono gli aneddoti su Mussolini; c’è la lettera scritta di suo pugno da Margherita ai figli in morte della mamma. Cos’avete a che fare con “Il Soldo”? «Nostro nonno, Pietro, era il mezzadro della famiglia Bellasi, precedente proprietaria del podere. Nel 1909 vi arrivò Margherita Sarfatti, che l’aveva acquistato. Volle che il nonno facesse il custode. E subito gli disse: “Chi lavora la terra deve anche mangiarne i frutti”. Lui lavorava anche nel giardino. Curava il frutteto. La sua famiglia viveva così…». Com’era allora “Il Soldo”? «Era bellissimo, ben tenuto. Il nonno era rigoroso, non ammetteva una pagliuzza fuori posto. Margherita Sarfatti era innamorata delle sue ortensie blu… Noi, da bambini, giocavamo sugli alberi da frutto di nascosto dal nonno». Cosa diceva Margherita Sarfatti della sua casa? «Appena arrivò volle eliminare ogni recinzione, a parte il muretto che dava sulla strada provinciale. Prima c’era filo spinato ovunque. Lei disse: “Non ho comprato una prigione”. Il marito, l’avvocato Cesare Sarfatti, disse al nonno: “Pietro, faremo una fattoria modello”. Una loro nipote, ancora oggi, ricorda: “Il Soldo fu un Eden, grazie a Pietro”. In primavera la signora dava ordine al nonno di aprire i vetri della veranda affinché le rondini potessero nidificare. “Perché – diceva – le rondini portano fortuna”». Com’erano le vacanze di Margherita Sarfatti qui? «Spensierate… C’era tanto personale di servizio e una bambinaia tedesca. La mamma dava, a sua volta, una mano in cucina. Raccontava che per i pranzi all’aperto venivano usate le felci come segnaposti ai tavoli». Ricordate ospiti illustri? «Sì, molti. In particolare, i pittori Boccioni e Sironi, la scrittrice Ada Negri. La mamma andava regolarmente alla posta per spedire i suoi scritti. Lei le regalò una spilletta a forma di ventaglio». Che cosa vi è stato tramandato di Benito Mussolini al “Soldo”? «Una nostra zia lo vide in giardino sotto il bersò… Quando era in visita ufficiale, davanti al cancello della villa era schierata la milizia. Arrivava a bordo di un’Alfa scoperta… La mamma diceva che tutti i suoi discorsi venivano scritti dalla signora Margherita» . Ricordate aneddoti particolari? «Un nostro cugino più grande era soprannominato “Musolino”, come il famoso brigante dell’epoca. Aveva un cappello rosso simile al suo. Una volta che venne il duce, gli raccomandarono di nascondere il cappello e di stare alla larga… Margherita Sarfatti, però, raccontò la storiella a Mussolini, che volle interpellarlo: “Perché non metti il tuo cappellino rosso? Se me lo dici ti regalo un copricerchione, così ti ci rotoli con i tuoi amici…”. Il cugino non resistette. In dialetto rispose pronto: “Perché mi chiamano Musolino!”». Com’era la Sarfatti fisicamente? «Negli anni Trenta a noi sembrava bellissima, con capelli lunghissimi, vestita di nero. Faceva ginnastica in costume. Una volta fu punta da un’ape: strillò, chiamando il nonno… Quando, nel dopoguerra, tornò dall’esilio, al quale era stata costretta dalle leggi razziali, era invece ormai anziana e malandata». Come si comportava, era gentile? «Sì, lo era, anche con i contadini. Una volta regalò alla mamma un abito di seta pura, quando la povera gente indossava solo panni di cotone. La mamma, che all’epoca era una ragazza giovane, lo indossò per andare a ballare. Quando il nonno la vide, le chiese: “Chi te l’ha dato?”, poi le ordinò: “Levalo subito, che i contadini non possono vestirsi così”. Margherita Sarfatti lo venne a sapere e convocò il nonno: “Ma Pietro – gli disse – Cosa ti salta in mente? Tua figlia con quell’abito sta meglio di me”». Avete ricordi appartenuti a Margherita Sarfatti? «Quando morì il nonno, nel 1953, scrisse di suo pugno alla mamma una lettera che conserviamo. Un passaggio dice: “Pietro è andato a raccogliere il premio di tutte le sue opere buone e virtuose”». Marco Guggiari