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La nipote Enrica e i ricordi su don Luigi Guanella

La trisnipote svela i ricordi di famiglia e gli intrecci tra il sacerdote e Como Porta il cognome del santo. Di quel don Luigi Guanella che il Concistoro di ieri ha deciso di canonizzare il prossimo 23 ottobre. Per lei è uno zio un po’ lontano nel tempo, di cui va fiera. «Queste figure – dice – sono come le comete, compaiono ogni tanto». La trisnipote del prete, morto a Como nel 1915, accetta di parlare di cosa resta del religioso e dell’uomo dal suo punto di vista. Attinge alla tradizione orale della famiglia – don Guanella era fratello del suo trisnonno Tommaso – e traccia del futuro santo un profilo fresco, all’insegna dell’autenticità. Enrica Guanella, classe 1969, di Campodolcino, sposata e con due figli, è laureata in Storia dell’arte e dirige il “Museo della Via Spluga e della Val San Giacomo”. L’ente ospita varie sezioni dedicate alla cultura della valle e alla strada frequentata per secoli da commercianti (specialmente di seta, dal Comasco), pellegrini e militari: una via di collegamento tra le più importanti della Lombardia. Don Guanella ottenne in comodato gratuito proprio l’edificio dove oggi ha sede il Museo. Vi aprì l’opera pia di Sant’Antonio, una scuola professionale per le ragazze del luogo, dove maestre della provincia di Como e del Canton Ticino insegnavano loro a ricamare con la tecnica del pizzo di Cantù, a cucire e a confezionare cappelli di paglia. Il sacerdote nato nel 1842 a Fraciscio, frazione di Campodolcino, sperava così di evitare che quelle giovani dovessero emigrare o prestare servizio nelle case della borghesia milanese. Dottoressa Guanella, perché questa preoccupazione? «Don Luigi riviveva la tragedia della separazione della sua famiglia, dovuta alla caduta d’importanza della via dello Spluga. Avrebbe voluto anche aprire un’asilo infantile per consentire alle donne di lavorare. E un seminario, sull’esempio del collegio di don Bosco. Per cinque anni diede vita a un asilo climatico estivo per l’assistenza di ragazze gracili e non benestanti». Come definirebbe don Luigi? «Era prima di tutto un uomo del fare. Insegnava a coltivare la terra e ad allevare il bestiame. Aveva scritto un libricino per spiegare come si dovessero tenere stalle più salubri, come gestire i boschi, come svolgere l’attività di apicoltore… Era anche appassionato di botanica. A suo modo era un imprenditore». Com’era la famiglia di don Guanella? «Era una famiglia patriarcale. “Don Luis”, come veniva chiamato, aveva dodici tra fratelli e sorelle. Il papà era autoritario, era stato anche sindaco di Campodolcino. La mamma era invece una donna dolce, ma sapeva essere severa per il bene dei figli. Spettava a lei la loro educazione e l’insegnamento della dottrina cattolica. Era una famiglia dedita al lavoro e alla preghiera, come si usava un tempo». Ed economicamente? «Stava abbastanza bene, in parte era impegnata anche nel commercio. Questo fino a quando furono aperti i trafori del Moncenisio e soprattutto del Gottardo. Ciò comportò il crollo dell’economia nella valle e l’emigrazione di molti in America. Uno zio di don Guanella, fratello di suo papà, emigrò a Bristol. Don Luigi ricordò sempre con dolore la partenza, a sua volta, della zia Maria Orsola». Come vivete oggi in famiglia questa parentela? «Siamo gente di montagna, sobria ma consapevole del legame con questo grande uomo. Confesso che siamo orgogliosi di portarne il cognome, per il tanto bene che don Luigi ha fatto e per il riconoscimento che ha avuto. C’è poi l’idea, sia detto con tutta l’umiltà possibile, di avere una certa intelligenza, di essere buoni, benché dotati di un temperamento un po’ sanguigno. Noi Guanella siamo, come dire, un po’ sopra le righe, originali. Abbiamo una certa versatilità; è una caratteristica che abbiamo ereditato. La montagna è una sfida continua, obbliga ad affinare le proprie capacità, a trovare la soluzione giusta nel momento giusto. Don Luigi aveva questo dono in grande misura». Mi dica qualcosa del suo legame con questo antico zio. «Guardi, in famiglia abbiamo tutti l’immagine di don Guanella nel portafoglio. Una volta mi trovavo in aereo, lontana da casa per lavoro. Il velivolo “ballava” paurosamente. C’erano condizioni meteorologiche da vero panico. Istintivamente estrassi l’immagine di don Luigi dal portafoglio. Gli dissi: “Fammi tornare dai bambini, tu sai che ho ancora tanto da fare”. Ecco, grazie a lui, direi che abbiamo come l’idea di avere le spalle coperte». Racconti un aneddoto. «La zia Irene, cugina del nonno e figlia del fratello di mio bisnonno, ricordava che all’età di 5 anni era stata duramente sgridata da sua mamma per aver rotto una statuina della Madonna mentre giocava con una palla di pezza. Il simulacro era stato donato nel 1913 da don Guanella, passato a salutare la famiglia in quella che fu la sua ultima visita a Campodolcino. La mamma di Irene aveva messo la statuina in cucina. Don Luigi, informato, disse: “Non si preoccupi. È colpa mia. Se avessi regalato un popòla, (bambola, ndr) non si sarebbe rotta”». Ha altri ricordi ereditati dai familiari? «Mio papà mi raccontava che il nonno era carpentiere. Da ragazzino, grazie a don Guanella, aveva studiato disegno tecnico. Si ricordava che quando don Luigi veniva a Campodolcino lo ammoniva in dialetto: “Fa giudizi, Luisin”, agganciandolo per il collo grazie a un bastone con l’estremità arcuata». Avete oggetti appartenuti a don Guanella? «No. Soltanto mia zia Laura ha in casa una targa con l’indulgenza concessa da Papa Pio X alla famiglia Guanella fino alla terza generazione. Il pontefice era amico di don Luigi che gli aveva portato il miele di Campodolcino». A Como, don Guanella ha studiato al Collegio Gallio, nel seminario di Sant’Abbondio e in quello Maggiore. Sul lago è stato parroco di Pianello Lario. In città ha fondato la Casa Divina Provvidenza, dove riposa. E in Duomo è stato celebrato il suo funerale. C’è un episodio su don Guanella a Como? «Mio papà raccontava di aver saputo in famiglia che don Guanella chiedeva insistentemente soldi a un ricco comasco. A un certo punto quell’uomo, spazientito, gli rifilò un ceffone. Lui, senza scomporsi, disse: “Bene, questo era per me e me lo sono proprio meritato”. Poi tese la mano e aggiunse: “Adesso però mi dia qualcosa anche per i miei poveri”. Quell’uomo divenne uno dei più grandi benefattori dell’opera di don Guanella». Marco Guggiari

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