Tutti i segreti di un Pontefice: intervista al segretario di Papa Luciani

«Ho detto al patriarca Luciani che sarebbe diventato Papa» Parla don Diego Lorenzi, l’ex segretario che vive a Erba Nel giorno dell’ingresso in conclave aveva predetto al patriarca di Venezia Albino Luciani che ne sarebbe uscito Papa. Accanto a lui ha vissuto i trentatre giorni di pontificato. E con lo stesso Giovanni Paolo I ha condiviso l’ultima cena, quella che ha preceduto la morte improvvisa del successore di Paolo VI. Da un anno e mezzo don Diego Lorenzi è tornato nel Comasco, all’istituto San Carlo dell’Opera Don Orione, dove da ragazzo aveva frequentato il ginnasio. Settant’anni, nativo di Valdastico (Vicenza), accetta di raccontare un’esperienza umana e spirituale unica. Don Diego, come divenne segretario di Luciani? «Ero cooperatore nella parrocchia di San Pio X, a Marghera. Nel mese di gennaio del 1976 il patriarca di Venezia venne in visita pastorale. Mentre lo riaccompagnavo in auto fino a piazzale Roma, osai dirgli: “Eminenza, so che tra sei mesi si recherà a Philadelphia per il congresso eucaristico internazionale. Siccome so un po’ d’inglese, mi offro di portarle la valigia”». E andò così? «No. Alla fine di giugno di quello stesso anno ero a Paderno del Grappa per l’annuale convegno di pastorale. Il patriarca mi si avvicinò e disse: “Io a Philadelphia non vado. Però vorrei che lei venisse con me per prestarmi il servizio di segretario particolare. Sappia che avrà una vita monotona: dovrà rispondere al telefono, guidare l’auto, farmi da cerimoniere…”. Risposi che c’erano i miei superiori e, se credeva, di parlarne con loro. Replicò che l’aveva già fatto». Perché scelse proprio lei? «Credo che l’abbia fatto perché ero “super omnes”, fuori dai giochi. Mi diede precise linee di contenimento e io feci di tutto per rimanere nel mio ambito di lavoro, senza invadere terreni e settori in cui sarei stato fuori posto». È vero che lei si aspettava che Albino Luciani diventasse Papa? «Nei due anni di condivisione molto ravvicinata, anche se da parte mia rispettosissima, che trascorsi con il patriarca Luciani, mi ero proposto di indagare l’interno di quest’uomo. Egli si accorgeva che Dio stava scomparendo dall’orizzonte del mondo e teneva con il Signore un contatto costante. Aveva fede profonda, speranza e senso di umiltà. Lo ammiravo e deducevo che una simile ricchezza interiore doveva manifestarsi, essere fatta oggetto di ostensione…». Come previde l’elezione? «Alle 11 del giorno in cui stava per entrare in conclave gli portai i quotidiani. Gli dissi: “Domani a quest’ora lei avrà un gruzzolo di voti a suo favore perché faranno Papa il più santo tra i cardinali”. Obiettò: “È difficile misurare la santità degli uomini. Comunque, se faranno me, rifiuterò”. Diceva così facendo riferimento alla costituzione di Paolo VI Regimini Ecclesiae, la quale prevedeva che l’eletto potesse rifiutare». Domenica 27 agosto 1978 a mezzogiorno, quando si affacciò per la prima volta dalla loggia centrale di San Pietro, il nuovo Papa disse: “Ieri mattina io sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere… Venuto il momento ho accettato”. Ma davvero Albino Luciani non si aspettava di essere chiamato al soglio di Pietro? «Entrò in conclave con serenità, ma sapeva cosa sarebbe successo. Le cito anche un episodio accaduto non lontano da qui. L’ultimo sabato di luglio del ’78 eravamo a Premana, in Valsassina, da dove nei secoli c’erano stati tanti emigrati a Venezia tra coloro che sapevano lavorare il ferro. Era il giorno di Sant’Ilario e mentre la processione si inoltrava, improvvisamente, vedendo il patriarca, un bambino affacciato a una finestra gridò: “Mamma, guarda il Papa!”». Lei come ha vissuto l’annuncio della nomina? «Ero in piazza San Pietro. Dopo la fumata bianca arrivò il cardinale Pericle Felici. Iniziò la formula di rito: “Annuntio vobis gaudium magnum…”. Sbrigati, dissi io quasi ad alta voce, a dire Albinum. E così fu. Un signore accanto a me, con una bambina a cavalluccio sulle spalle, chiese: “Do you know him?”, lo conosce? Ho pensato che Dio avesse voluto premiare un uomo che avrebbe dovuto dire qualcosa all’umanità». A tratti Papa Luciani sembrava angosciato dal suo ruolo… «Aveva il grosso cruccio della disobbedienza di monsignor Lefebvre. Durante un Angelus, prima dell’inizio delle scuole, ricordò che anche il Papa era stato studente e aggiunse: “Se mi avessero detto che sarei diventato Papa…” e parlava con angustia. Io ero lì che reggevo l’asta del microfono e avevo la netta percezione di quello stato d’animo. Diceva anche: “A volte chiedo al Signore che mi prenda con sè”, anche se vedeva che la folla era schierata con lui». È vero che, ancora patriarca, uscì sconvolto dall’incontro a Coimbra con suor Lucia, la veggente di Fatima? «Non so cosa si dissero. Ricordo però che qualche mese dopo, a Canale d’Agordo, suo paese natale, ospite della casa di famiglia, mentre eravamo a tavola lo vedemmo sbiancare. La cognata chiese: “Cos’ha zio?”. Lui rispose semplicemente: “Sto pensando a cosa mi ha detto suor Lucia l’estate scorsa». Se il pontificato di Giovanni Paolo I fosse stato più lungo sarebbe cambiato qualcosa sul piano dell’etica sessuale, in particolare della contraccezione nel matrimonio? «Era colpito e scosso, da prete novello, vedendo concepimenti e nascite ravvicinati tra la povera gente. Era un problema acuto al quale voleva dare un approccio pastorale di vicinanza e di comprensione. Fece studi che proponevano decisioni diverse da quelle a cui poi giunse l’Humanae Vitae di Paolo VI, ma quando essa diventò enciclica, Luciani rimise il suo studio in un cassetto». Come andò quell’ultima sera del Papa? «Sono cose che ho detto mille volte. Non c’è nessun giallo. Del resto, la sorella di Papa Luciani, morta un anno fa, ricordò che lui se n’era andato come due zie passate a miglior vita mentre erano intente a lavori domestici. Nel 1975 aveva già avuto un’embolia a un occhio. Il primario dell’ospedale di Mestre sentenziò che aveva rischiato la vita… Prima e dopo il viaggio a Premana, Luciani soggiornò dalle suore al Lido di Venezia: aveva le gambe gonfie e doveva camminare. Orbene, la sera del 28 settembre 1978 eravamo a cena il Papa, io e padre Magee, che mi affiancava. Il Santo Padre mise le mani davanti al petto accennando a improvvise fitte. Monsignor Magee disse: “C’è il medico di turno, lo chiamiamo”. Il Papa replicò: “Sta passando”. Quando lo accompagnai in camera indicai la testata del letto con il pulsante per chiamare in caso di necessità. Qualche ora dopo fu trovato morto. Si attribuì il decesso a infarto al miocardio intorno alle 23. E io a ciò mi attengo, nè ho altro da aggiungere». Marco Guggiari