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«Riconosciuta come irlandese mi rincorsero con le bottiglie»

Michelle Curran, comasca d’adozione, ricorda i giorni del 1981 Michelle Curran abita a Maslianico, in una casa al confine tra Italia e Svizzera. La sua infanzia e la sua vita da ragazza è stata segnata da ben altro confine, tra l’Eire (repubblica indipendente) e l’Irlanda del Nord (Ulster), inserita invece nel Regno Unito. Michelle è una bella donna, sposata a un comasco. Fa l’insegnante ed è mamma di quattro figli. È sul Lario da vent’anni e accetta di ricordare il clima del maggio 1981, quando nella sua Dublino giungeva l’eco drammatica delle morti volontarie in carcere di Bobby Sands e, successivamente, di altri nove attivisti nordirlandesi. Sands e gli altri erano nazionalisti cattolici e avevano scelto di lasciarsi morire di fame per il mancato riconoscimento dello status di prigionieri politici da parte del governo di Londra. A Belfast erano gli anni della guerra a colpi di attentati dinamitardi da parte dell’Ira (Irish Republican Army) e di violente e indiscriminate repressioni ad opera dell’esercito inglese e degli unionisti protestanti. «Avevo sedici anni – ricorda – Percepivo la paura per il terrorismo. Ci veniva detto di non viaggiare, di evitare di andare in città per timore delle manifestazioni di protesta». La famiglia di Michelle era numerosa: sei fratelli e i genitori. «In casa non si parlava volentieri di quanto accadeva, anche perché la mamma è inglese. I tg erano molto cauti nel trattare l’argomento: si limitavano a scarne informazioni. Non venivano certo raccontate le torture della polizia britannica. L’Irlanda non voleva incrinare i rapporti con il Regno Unito». La rievocazione di quei giorni è profondamente onesta. «Per noi cattolici l’Ira era terrorismo d’ispirazione marxista. Anche a Dublino ve n’erano cellule. Bobby Sands e gli altri erano diversi. Il loro gesto disperato era la sola via d’uscita che avevano. Hanno dato la vita sperando di riaprire il dialogo. La portata dei loro sacrifici si coglie appieno solo oggi, grazie al fatto che viviamo più in pace e con meno odio». Michelle ha nitida la memoria di alcuni episodi che l’hanno colpita personalmente. «Andai in Inghilterra con gli scout. Una volta là, alcuni ragazzi mi individuarono come irlandese e mi rincorsero brandendo bottiglie. Anche in Irlanda, nel mio Paese, la situazione non era facile. Mi capitò di fare l’autostop e di rispondere, interpellata, che non ero favorevole all’Ira. Subito mi fu chiesto di scendere dall’auto. Nei pub non si parlava di politica nè di religione. Erano ammesse solo le risate…». A quasi trent’anni di distanza da quei tragici fatti, Michelle Curran non ha dubbi: «Sands è morto per un ideale, ma altri ammazzavano per ideologia. Noi abbiamo voltato le spalle ai nostri fratelli dell’Ulster per paura. Il terrorismo ci aveva indotto a lavarcene le mani». Marco Guggiari

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